Le cene di famiglia sono una cosa santa e tremenda. Un avvicinarsi all’amore di tutti non è mai stato così immanente. Poco prima te ne stavi seduta a leggere la struttura della magia di Bandler e Grinder e ora sei qui, a San Giuliano, con un bicchiere in mano di Galliano, tra la moglie del fratello della cognata e lui.      Chi ti ha portato sin qui aveva certo motivi oscuri. Non dico dichiarati-oscuri, o consci-oscuri, ma oscuri si, si, bruniti.

Capita anche a te, stellina, di volerti queste conferme. Cerchi una corrispondenza e vuoi portare la parte maritata nello zoo genetico. Se vengono sei contenta degli oh, ma comunque ti basta una sorta di riconoscimento austero del fatto che sei due. Due che bevono dove gira birra analcolica o due che fumano dove devi uscire ma sempre due. Eh!  Due. Io e lui.

Io e lui siamo apparentemente sbagliati. Ma bene assortiti e non brutti. Ammettiamo anche di essere sbagliati davvero ma non lo diamo proprio a vedere e poi brutti mai, mai. Qualche chilo in più che viene oscurato dal peso delle opinioni. Le rughe intelligenti. La sciatteria supponente di chi ha altro a cui pensare. L’informalità sagace e strutturata. Una mimosina incastonata in tazza da caffelatte arancio, via supermercato, per regalo a San Valentino.

Quest’anno è stato un inverno caldo. Quel poco che ci si vede con gli altri () a me pare un bastimento carico di. Concessioni. Ardori. Rinunce. Favori. Amore. Continenza. Fiducia. Bontà. Tolleranza. Compromesso. Compromesso. Compromesso.Compromesso. Acquisti. Antiacidi, inibitori della pompa protonica e droghe da banco. Droghe non da banco. Alcolici. Lessi. Brodi. Pearà.

Perché è poco? Non mi è chiaro perché sia poco. Non ho mai mandato a cagare te, loro, e non riesco a rifiutare quasi nessuna visione del mondo diversa dalla mia. Mi piace scorrere con gli altri gli abachi compressi nelle finalità dell’identità esausta e, op!, scoprirci biglie mancanti e, op!, ritrovare biglie sovrannumerarie. Perché è poco? Sto seduta per ore ad innamorarmi del nonno. O di te, mia maledetta concubina.

Ma non rispondo al telefono. E non rispondo. E non mi trovi quando vuoi. E non sai dove sono. E non ti puoi fare un numero di me e di dove sto. E non ti farai mai un percorso col mio cognome e il mio titolo. E non ci sarà un titolo per te col mio cognome e il mio percorso. E non ti farai un cognome con me titolata e percorsa. Potresti non trovarmi mai, mai più, non risponderò, vedi, a nessuna famiglia di nessun paese di nessun congiunto di nessuno stato di nessuna identità apparente istituita.

Le nostre cene di famiglia sono una cosa santa e tremenda. Un avvicinarsi all’amore di tutti noi non è mai stato così necessario. Poco prima te ne stavi seduta a leggere la struttura della magia di Bandler e Grinder e ora sei qui, a Desenzano, con un bicchiere di vino  Bardolino, tra il marito della sorella della cognata e noi.      Chi ci ha portato sin qui aveva certo motivi oscuri. Non dico dichiarati-oscuri, o consci-oscuri, ma oscuri si, si, bruniti. Foncé.

Ma non rispondiamo al telefono. Abbiamo una segreteria simpatica. Dice di lasciare un messaggio. E ascoltiamo e richiamiamo quando il tempo parla delle mancanze e dei perché. Perché è poco? Cosa ti ho promesso io, dove mi hai accompagnata e come ti sei occupato di me? Dov’eri quando le segretarie mi dicevano "lasci che le cose facciano il loro corso?" Dov’eri quando avevo un biglietto importante da distribuire, poi scaduto, e che il mio cane non sapeva da chi andare?

Dov’eri quando mi si molceva il cuore e sbattevo la testa contro i muri della stanza e un amore mi si disintegrava davanti, così piccola ero, dov’eri tu, balorda fantomatica famiglia avita, e mondo conseguente, quando mi beccavo astruse sieropositività e salpingiti sterilizzanti nelle piccole età e piangevo d’amore d’amore d’amore urlante in case vuote in case vuote (forse con me solo una nonnetta dolente) in case vuote buone per me, il mio ventaglio superbo strafottente di quindici-diciott’anni esangui e mal tutelati, posseduti come bestie braccate dagli inganni?

Ci sei per come mi ti ho restituita. Il  tuo valore sboccia, spande e cresce dal mio corso. E non è poco, non è quantificabile, senti, quanta pazienza e ardore abbia messo nella conformità del tuo statuto, nella tua legge e nella tua struttura. Ti riconosco, calda, bestiale, complicata creatura. E ti amo come il mio cane, che è morto, la mia bella cagna mora, non voglio perdere niente di quanto posso, anche se sei livida e marcia e supponente e senza cura-di-me, verrò da te, nella cosa di-te famiglia, come una figlia.

Molto piano.

5 thoughts on “

  1. vero è, certi pezzi di famiglia non si scelgono, anche quando si di-scendono.

    ma la paura del rimpianto delle volte, a crociera, è più forte.

    saluti e complimenti senza oggetto,

    chiara.

  2. la tua poesia dilatata.

    la tua prosa è questo movimento lento fluido composto, che assiepa e affonda dove più fitto il senso.

    ma dove trovo la tua poesia? la tua nuova poesia, intendo. dove la posti?

  3. Ogni tanto metto qualcosa di appena scritto su Liberodiscrivere, dove c’è anche Esanimando, e a tratti su The cats will know (vienici anche tu, non ti ho ancora vista lì, giusto?, c’è gente tosta!). Anche su Fogli cè qualcosa di nuovo, ma ho tendenza a mescolarlo con tutto il percorso.

    Se vai su Nopoetical, un miniblog che ho su tiscali, c’è una progressione di pezzi recenti che ho chiamato “poesia estrema”. E non dirmi che non ti ho spiegato tutto! (grazie per la richiesta, Iole, invece)

  4. Per Chiara: qui dico che una sorta di scelta può essere fatta, al riparo da ogni possibile rimpianto, quando si arrivi a discernere bene i rapporti causa-effetto e quindi a reindirizzare la colpevolezza. Insomma: posso amarti e non fare quello che mi chiedi.

  5. grazie Silvia

    però… non conosco i link – a parte libero, naturalmente-

    ho cercato fra i tuoi ma non li trovo.

    io molto imbranatissima, perdona :)

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