Adesso mi stai a sentire, Trigemina.

Ho capito benissimo cosa hai detto al bar, hai detto "tu non combinerai niente". So che ci credi perché hai fatto di te quella che qualcosa combina mischiandosi alle porcate degli uomini, sai quella del lasciar passare perché toccheresti una persona potente? E potente significa che ha più contatti di te e che tutti dipendono in qualche cosa da lei, che è al posto giusto per farti avere quello che altrimenti ti sarebbe praticamente impossibile.

Potente, Trigemina. Non è una bestemmia. E’ così.

E sai quella di non farsi il minimo scrupolo? Scrupolo significa che ci pensi due secondi prima di sputtanare davanti al capo del personale un ragazzino che ti sistema gli stucchi. Scrupolo significa che prima di firmare una cosa pensi a chi stroncherà mezza vita, perdita di diritti, perdita di lavoro, discredito, mobbing, cose così. Scrupolo significa che sai cosa costa il pane, l’affitto e la macchina, e che ha senso per te che questo sia possibile, condiviso e normale. Scrupolo significa non coltivare il privilegio di una situazione che si erga sulle teste degli altri. E’ fine a sé stessa, capisci? Capisci o no che ergi la tua figa in un campo deserto e che deserto resterà? Darai lavoro per toglierlo, e comunque questo non ti compete, il lavoro si fa da sé e tu non fai che incastrarti nel ruolo del padrone.

Padrona, Trigemina, di disprezzati accoliti.

E sai quella dell’esibire tutte le cosine che hai in modo persuasivo e vacuo, vacuo, dico Trige, perché nessuna cosa che hai ha bisogno di esibirsi così, come un medaglione di promesse storte a niente mantenere, cappio seduttivo che strangolerà a morte, dispensa di solitudine e miseria. Brilla un rossetto acceso e un occhiale, vanta marche di orologini e scarpine, la lingerie finissima e putrescente che cola sul tuo scheletro in divenire, a costruzione di capannoni freddi nel successo mortifero, povero corpo ornato del rispetto dei topi. Vedrai come rosicano quando il quarto d’ora farà belli anche loro!

In, Trigemina, in, nel target della tua provincia desolata.

E sai quella di pretendere tutto per te e la tua famigliola strettina e di non fare un plissé se quelle degli altri vengono spremute come limoni, dai costi, dalle selezioni, dai mercimoni, dalla mancanza di credito, dalla congiuntura, dal successo di quelli come te? Perché ti muovi tra pari, gerontocrazie ecclesiastiche, padri del tortellino, aristolauri dal chiodo fisso, parvenu del contadino che ha lavorato, mercantacci da fiera nel loro limbo molesto, borghesia infallibile dai savi figli proni, puttane risorte al mondo delle discoteche migliori, famiglie in cammino verso l’alto da Sé.

Così va il mondo, Trigemina, bisogna berlo appena spremuto.

E sai quella del santo senso del ridicolo, dell’omologazione che fa l’eccezione, quel senso settimo del discriminante settario, il sentire l’altro risibile perché la sua lingua è diversa. O perché non ce la fa ad assomigliare a te. Ridere della balbuzie, della caduta, della sporcizia, della pettinatura sbagliata, del vestito raffazzonato, dei denti che mancano. Ridere dell’imbarazzo, del dialetto, della debolezza, ridere del rossore, dell’inadeguatezza e del pianto. Ridere dell’odore penetrante della vita serrata, ridere della difesa accanita, ridere dell’incomprensione. Coniare la parola sfigato.

Tu ti elevi altrove, Trigemina due passi sopra il cielo.

E sai quella del giudizio solenne, del far pesare ogni tua parola come piombo, ogni tuo vezzo o conclusione premente, il tuo prenderti sul serio, moretta, il tuo prenderti sul serio! Verrà da te quel che dirige lo stato delle cose per questi quattro porcellini e la loro casetta, aspetteranno che il tuo sopracciglio si inclini per comprare il burro e l’oro, la benzina, l’apparecchio. Chi può sapere quale turacciolo tu ti sia infilata nel culo, enfiata così, e quali tappi nelle orecchie per non sentire e quale diga cementizia abbia ostruito la via del dubbio e della domanda nel tuo cervello lapidario e bloccato, appunto?

La tua mummia, Trigemina, al miglior museo del miglior Cairo.

Allora, mummiella, senti qua. Dove vai tu non mi può fregar di meno. Il tuo combinamento mi fa lo schifo della peste e se capisco cosa sei è perché da qualche parte ti ho conosciuta. E continuamente superata. Astratta. Venduta. Trasformata. Uccisa. Niente è facile se si ha a che fare con te ma ti assicuro che l’ultimo dei miei desideri è assomigliarti. Che tu abbia potere può intrigarmi e farmi riflettere, perché è di questo tuo potere che voglio sbarazzarmi. Continuamente, sempre, fare senza di te.

Questo combinerò, Trigemina di merda.

4 thoughts on “

  1. sono passata per leggerti. solo che vedi, ho gli occhi stanchi. e quando leggo te li voglio aperti, quasi sgranati sul testo. così sarà domani, intanto una carezza, amicale, notturna, disordinata e grata. grata che tu scriva– mademoiselle zazie.

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