Cordina a parapetto sulla sera tumida, e che

sbilanciata pende poco fa,

una storia da non augurare, a piccoli passi mentre

a picciole entrate eccola nel tramonto:

era un ragazzo con occhi che sfilavano

un grosso cuore

a mango.

Quando le hanno ridato le ossa catafratte

e quando la luna per sempre l’ha potata

e quando nulla più ha cantato nel solco capovolto

fossile, duro,

e a perdita in rinascere, nelle aperture monda,

era di me tutto il suo sorriso invertito.

Adesso che le tremano le mani e dentro la sfronda

un’angoscia sottile come la bava strattonata, io

la voglio avvolgere al mio, che è un amo d’acciaio

a sostenerla bene

(che cade, crolla), e per i mille anni

e per tutte le sere.

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