L’albero è nel giardino, ci si gira attorno bene. E nella recinzione di lauro niente soffoca. Come un mattino di luglio l’erba solo poco bagnata le foglie sottili del pesco e la palla di luce che si allarga fanno pulizia al pensiero. Che è cupo, il mio, ciondola tra varie portate di gelo.

Pranzo così, a bocca chiusa e gli occhi aperti nella stanza buia. Sento fischiare i treni che arrivano in stazioni che non si ricordano. Vede, non c’è un oggetto preciso. Tutto è indistinto, lì, e vago, ghiaccio sciolto e riformato poi risciolto, un insettino intrappolato, poi nevischio e neve granulosa, sassi scheggiati fino alla terra nera. Alaskina.

Se dovessi scegliere parlerei di "desolazione". Benché la parola "cristallizzazione" possa andare bene, e forse anche "deprivazione" e "sconforto". No, ma le assicuro che sto piuttosto bene, lo vede l’albero? E il giardino? Lei non sa il piacere che mi dà ficcare le mani nella terra, siamo a luglio ricorda?, quindi le mani nella terra che ha quel profumo di fungo, di foglia macerata, quella morbida a sfumature di bruno, le radici delle piantine che sposto cose fine bianche delicate (mi capita anche di lavarle).

Ecco, non che sia una brava coltivatrice. Qui vivono bene se ci riescono soprattutto sole. Io ho questa cosa: che le lascio fare. Difficilmente poto. Concimo pacciamo pulisco pochissimo. Sporadicamente strapianto. Che mi sembrano tutte bellissime e ricolme di dignità d’esistenza. Anche se per questa mia cattiva perizia molte di loro muoiono, spesso  tra loro mangiandosi.

Si, non mi sembra di stare così bene, adesso. E poi è la desolazione un treno che fischia nella notte bianca una voce senza risposta e sogno una carta macerata stropicciata riaperta ha su tutte quelle venature violette è schifosa inscrivibile sogno che ridiventa candida assolutamente vuota.

Non ho l’oggetto. E’ una desolazione vacua, un posto. Senza nessuno dentro. Le ho già detto che ci sono state delle volte in cui ho voluto essere stretta, strizzata fino a quasi sentire male? Dice che è una cosa che si spande? Non avrebbe confini e così e così…è terribile. Non avrebbe confini da cui non avrebbe forma da cui non avrebbe contenuto da cui sarebbe niente. E com’è che la sento urlare, scusi?

Torniamo a luglio. Io non sono una che urla. Ragiono, parlo e sbotto, riesco a recitare: "Forse un mattino, andando in un’aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:" Così bravo, così serio Montale. A chiedersi dove abbia trovato la dimensione terrificante, perché è d’accordo con me che questo è il centro della sua buona poesia. La percezione, come dire, di una zona perturbante.

Il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco.  Sulla sedia, in piedi, questa è da recitarsi così, ai pranzi di Natale con la famiglia grande che ti darà il soldino. Bere è importante, bere è peccato e bere è desolante. Terrifica. Il movimento è quello di un qualcosa che ti prende ti butta in aria che poi cadi giù.

Distruttiva? Guardi, frega un cazzo. Com’è invece la storia della desolazione? So che porta dentro (vien da dentro?) un palpito come di risucchio, fa "fhfhfhfhf", provi a riempirlo di cose buone e consolanti e niente, non ne hai nessuna. E la storia dell’urlo, se ci pensa è strana. Sono io ad urlare, allora, dice, allora, ALLORA!

Le ripeto che a luglio io ho collezionato campi di grano maturo non ancora tagliati, e papaveri rossi spampanati col pistillo nerastro e semini dovunque, che tutti i bambini hanno giocato con me e ho disegnato moltitudini di grovigli indistricabili e conosco i testi delle canzoni più belle, parlo lingue cifrate e conosco i vicoli delle città incantanti e conosco i bar delle città incantanti a menadito, signore!

Cosa vuol dire "poi come s’uno schermo si accamperanno di gitto alberi case colli per l’inganno consueto"? Devo pensare che non crede dunque nell’autenticità della mia estate? Ma non s’è fatto dal niente il mondo nelle cosmogonie, quelle si, inventate?

Lasci, un momento di protesta. Mi piacciono le sue dita lunghe, la grande bocca che ingoia, i suoi tentacoli (ma quante braccia ha?), e come occupa bene tutta la stanza. Mi è sembrato così morbido e avvolgente sdraiarmi con lei e confondermi con lei, Fedor.

7 thoughts on “

  1. qui la lettura è proprio sospensione. tutto quello che woody allen e bergman non ci hanno mai messo dentro perché non donne. E’ la seduta il centro del racconto, dico in generale, in certi tipi di vita. La mia per esempio. Così ho bevuto al calice del tuo, racconto.

  2. sono tentata, silvia, di proporti un doppio sogno– un altro gioco di scrittura. 5 sedute e un letto. 5 + 5. Se ti entra nella testa, dimmelo. (non scrivo in questi mesi, che appunti strappati alla nota della vita spesa).

  3. bene :-) la tengo in caldo :) sotto le coperte ché si fa primavera, ma bisonga saper aspettare :-)) baciuz

  4. credo di aver sentito diversi soffi riconoscibili. ossia. le ferite provate e mai potute narrare così. dico narrare poichè la trama apre la verità della stagione. ( perdona la confusione). è che leggendo e rileggendo, qui, ho riconosciuto specchi bellissimi. e ne avevo bisogno.

  5. Un po’ una vigna di Renzo, al femminile.

    PS arrivo dal newblog di Filly Matarrese, e devo dire che qui ci sto bene assai. Tornerò saepe! ;)

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