Le mie lettere d’amore cominciavano sempre con movimenti diretti.

Sono qui che sei lontano Antigua brucia di ti odio come a questa notte manca. Propaggini di stelle bambi.

Aggressive e lucide, a lungo ti descrivevo il corpo. La bellezza del corpo. Entravano nei movimenti, anche, nelle gestualità. Smaniavano in atti sessuali  e raffigurazioni di peni, anche, ascelle, braccia, mani e gambe, le belle cosce. Il culo.

Ma ci sono state lettere d’amore in cui ti ho attaccato al muro. Te ne ho dette di tutti i colori. Precisata ogni insufficenza e vomitata addosso la bile, rivoltolato vivo nella tomba per te scavata. Lettere d’odio caldo e scorpaccioso, erano così umane, erano così sentite, erano ribollenti di sentimento come cattive.

Devi esserti sentito fiero di ispirare cotanta furia. Io lo sarei stata, col filo di paura che non guasta.

E poi,  el me omo, ci sono state lettere d’amore con i controfiocchi, frequenti, lunghe, pagina quattro, pagina cinque, ricopiature selezionate della roba più bella della Dickinson, con quel suo, di amore, fantasma, casalingo, idolatrato, sul lungo nuovo england tra la bibbia e la notte, sul trifoglio  sulla possibilità, poesie di bacca rossa, poesie di buio biancovestito cuore. E lama.

Ma roba da appendice. Ma roba da rapporto epistolare onanistico. Mai una risposta, amore!!

Le mie lettere dell’ amore finivano lì, nella cartellina, che le ho rilette tante volte da averci voglia di modificare, correggere, come si farebbe nello scrivere una storia, sai una storia? Amore? Sai una storia quando parla di interazione, tesse trama, procede per dialoghi o lunghe descrizioni di fatti, o corte, saltellanti nel cambiamento del ritmo, una storia ben coreografata, ecco, scattante, con rispondenze anche poco ortodosse, con fantasia, su!, con fantasia ed utilizzo scintillante ed appropriato del linguaggio.

Dimmi, luce di playstation, credi che te ne scriverei ancora?

Ma si che, ecco, questa ne è ancora: vorrei vederti felice (parte tao). Vorrei vederti felice. Sapere che tutta questa pena porti ad un buon risultato. Vorrei vederti morire bene, e vivere, accettato e confortato. Mi piacerebbe anche essere ringraziata.

(parte carogna): (va che il mondo l’è ‘na roba brutta. La dissipazione di un monoinvestimento. Che magari potevo affezionarmi altri. Sentiamo cosa dice Campana, che non naviga di sponda come la memedesime. Dice:)

 

O città fantastica piena di suoni sordi…

Mentre sulle scalee lontano io salivo davanti

A te infuocata in linee lambenti di fuoco

Nella sera gravida, tra i cipressi.

Salivo con un’amica giovane grave

Che sacrificava dai primi anni

All’amore malinconico e suicida dell’uomo:

Ridevano giù per le scale

Ragazzi accaniti briachi di beffa

Sopra un circolo attorno ad un soldo invisibile.

Il fiume mostruoso luceva torpido come un serpente a squame;

Salivamo. Essa oppressa e anelante,

Io cogli occhi rivolti alla funebre febbre incendiaria

Che bruciava te, o nero naviglio alberato di torri

Nell’ultime febbri dei tempi remoti o città:

Odore amaro d’alloro ventava sordo dall’alto

Attorno al bianco chiostro sepolcrale:

Ma bella come te, battello bruciato tra l’alto

Soffio glorioso del ricordo, gridai o città,

O sogno sublime di tendere in fiamme

I corpi della chimera non saziata

Amarissimo brivido funebre davanti all’incendio sordo lunare.

 

 

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