C’è chi dice che un’immagine dura molto.

Racchiude, sembra il termine migliore, in ciò che mostra un’invincibile nostalgia. E sperimenta per noi quanto non ci sembrava possibile prima di averla veduta, detto meglio, e definito, precisandone i contorni. Non ci sembrava allora visibile prima di averla veduta, e possibile e visibile…un’immagine dura il tempo, dicono, della cosa aspettata.

Ma si ripresentava? Era la traccia che la precedeva a renderla possibile? No. Pare che l’immagine durevole abbia cosmogonia non visiva; che parta da una percezione di natura più profonda, tattile? propriocettiva? La sua fissità potrebbe dipendere anche da un cuore. Duro, stabile, un rombo. Un sottofondo ininterrotto come in alcuni deserti sembra si sentano cantare le dune, a granello a granello, per l’erosione della corteccia esterna.

Quindi niente priva del sentito. E c’è un ottundimento attorno, palpabile diremo, che sospende e suoni e movimenti. Sopra i trenta gradi, sotto i quaranta. La viscosità regolata. Gli odori. Non tutti. Ma siamo andati a un periodo omeostatico dai gradienti indiscreti passato a occhi chiusi; perquanto…forse prima di un’immagine, forse, c’è un pensiero.

Allora il protopensiero. E gli attributi alla vista, ai colori. Caldo? Freddo? Una forma…morbida?? Un protopensiero avrebbe: potente l’idea, il senso, del dispiacere, del buono quando c’è, forse dell’isola, dell’assoluto stare, della variazione incapibile, del sommerso e del dondolio. Della stasi. Del buio dopo il sorprendente bagliore. Del cattivissimo, l’ odore del caprone.

C’è chi dice che un’immagine dura poco.

E’ passaggio della stella di San Lorenzo davanti all’allibito osservare. Fende l’aria come un bombardamento a Bagdad, fa fumo solo dopo. E’ ripetuta indistintamente e non rivela, nell’assuefazione continua a bucare quel buco, e perciò non la senti, conquista subito tutte le soglie e quindi va proposta variandola continuamente.

Poi diventa linguaggio quando aderisce a simboli prestabiliti. Informata da un concetto arbitrario sa ripetere uno due tre quattro per via di una conta d’angoli, e arriva a pensare uno zero. Prima del tempo, non lo stabilisce. Indifferente al pensiero, lo alimenta come si decida.

Quest’immagine è liberissima. Va dove vuole, pesca dalle mille e una antropologia, s’inventa cubismi e costruttivismi e strutturalismi, fotografa qualsiasi cosa e lo rende possibile, documenta il vero attorno a sé, uomini attorcigliati a alberi, uomini cupi pensanti con la mente sul pugno, uomini legati a lacci neri trascinati da cani, uomini impiccati in serie su piazze bianche, uomini seduti in cerchio, bambine nude urlanti che corrono.

E’ vera. Ma viene presto dimenticata. Scompare. Problemi di fissaggio? O il tempo di sviluppo è stato troppo breve, i cristalli non sono fioriti e l’argento è rimasto nel silenzio. Beffarda, diremo, quest’immagine poco durevole, e che pur percorrendo i libri e le pellicole si trasforma in qualcos’altro.

In cosa viene trasformata dall’oblio l’immagine corta? La lingua? La legge? Il simbolo? Ogni creazione possibile, possibile?

In cianfrusaglia. D’altronde se al pensiero non viene restituito nulla, dicono, nulla che non sia solo immagine, è bene che dall’oblio venga espulso almeno un residuo, che dica, il rifiuto,  che le cose ci sono state, da qualche parte, per qualcuno che forse eravamo anche noi.

                    

Bene.                                                                                                                                                                                                                                                                        I due uomini dritti faccia a faccia s’ammorbidirono e simultaneamente portarono le  mani dietro sé. Questo doppio gesto, così perfettamente accordato, li spaventò entrambi. Rappresentava un momento d’intesa. Querelle sorrise deliziosamente.

Quello che le rende indecenti è di poter essere riprodotte secondo questo procedimento di tratti incurvati che ne precisano la rotondità voluminosa con la grana della pelle e il grigio un po’ sporco dei peli ricci. La mostruosità degli amori maschili è contenuta nella scoperta di questa parte del corpo ed il suo inquadramento di giacca e pantaloni rimboccati. Con le sue dita, abilmente, Norbert spalmò di saliva il suo cazzo.

La scoperta del marinaio assassinato non provocò nessun panico, e nemmeno alcun spavento. I crimini sono rari a Brest come altrove, ma a causa della nebbia, della pioggia, del cielo spesso e basso, della grisaglia del granito, del ricordo dei galeotti, della presenza a due passi della città, ma fuori dalle mura – e per questo più emozionante ancora – della prigione del Bougen, a causa dell’antico bagno, del filo invisibile ma solido che lega i vecchi marinai, ammiragli, marinaretti e pescatori alle regioni tropicali, l’atmosfera è lì tale, pesante ma radiosa, che ci sembra non solo favorevole ma finanche essenziale alla schiusura d’un assassinio. Schiusura è la parola giusta.

Quando  si sa con quale orrore la società discosta  da lei ogni idea di pederastia, bisognerebbe meravigliarsi  che la polizia accetti così facilmente di ricorrervi.

La società sta alla polizia come il sogno all’attività quotidiana; quello che  proibisce a se stessa , quando può,  la società educata autorizza la polizia a evocarlo. Da ciò proviene, forse, il sentimento di disgusto misto ad attrazione che si prova  nei suoi confronti. Incaricata di drenare i sogni, la polizia li trattiene nei suoi filtri.

-Vi piace, vero, aver l’aria del vagabondo. Meritate…(esitò non sapendo se avrebbe detto…" tutte le riverenze, tutte le carezze dell’ala dei serafini, tutti i profumi dei gigli…") Voi meritate una punizione. –

Tutta la dura cattiveria di Gil – cattiveria manifestata dai suoi muscoli secchi sotto l’epidermide liscia e bianca, dalla fissità senz’oggetto dei suoi occhi verdi, dalla sua inintelligenza, dalla sua bocca senz’agio nel sorriso, dal sorriso sempre incompleto, rifiutante di scoprire altri denti oltre agli incisivi, teso come un elastico crudele che vi schiaffeggerà al suo ritorno, dai suoi capelli fitti, pallidi e poco spessi, dai suoi silenzi, dal timbro puro e ghiacciato della sua voce, da tutto, ecco, quello che faceva dire di lui " è arrabbiato"- la cattiveria di Gil fu ferita, innescata fino ad intenerirsi, fino a fare piangere il moccioso stesso su di lei.

Fino a nuovo ordine, le sue emorroidi erano lui. Gli amori più sani, questi "contatti d’epidermide" non sono altrettanto luminosi e chiari quanto li si descrive. Se improvvisamente il giovane nuotatore sulla spiaggia si eccita per la bella ragazza nuda che lo sfiora quanto noi per i calzoni o il pollice di un soldato, questo contatto del seno, o dell’anca, il cavo della nuca, contengono una regione d’ombra che inghiotte improvvisamente la ragione del nuotatore. Ed è solo, allora, desiderio oscuro. Niente impedirà dunque che queste zone d’ombra vengano da noi trattate, dove la nostra ragione soccombe se dobbiamo conoscere la felicità.

Con un po’ d’immaginazione Gil avrebbe potuto distruggere quanto era successo, ma la sua cattiveria era secca, era senza immaginazione. Domani ed i giorni a seguire doveva vivere nel disprezzo.

Tenerezza non è la parola giusta, ma dice meglio il mix (la mescla) di conoscenze che concernono il corpo dal quale si trae il proprio piacere, della dolcezza che vi fonde quando il piacere si scioglie, della stanchezza fisica, del disgusto stesso che vi annega e vi solleva, vi affonda e vi fa remare, della tristezza infine e di questa povera tenerezza, emessa un po’ come un lampo grigio e dolce, continua, ad alterare dolcemente i semplici rapporti fisici tra maschi. Non che questi divengano qualcosa che si avvicini all’amore vero tra uomo e donna o tra due esseri di cui uno è femminile, ma l’assenza della donna in quest’universo obbliga i due maschi a far uscire da loro un po’ di femminilità. A inventare la donna. Non è il più debole o il più giovane, o il più dolce che riesce meglio in quest’operazione, ma il più abile, che è spesso il più forte e il più vecchio.

Il ragazzo sentì dolorosamente che ogni esistenza per lui finiva con queste parole. Si sentiva diminuire, perdere la sua ragione d’essere. Tutti i tesori di cui, durante qualche minuto, era stato caricato, fondevano e molto velocemente. Conosceva la vanità degli uomini ed il loro aspetto prestamente annichilito. Aveva religiosamente lavorato ad un avvicinamento che l’aboliva. Tutta la sua vita si era svolta in questa gigante funzione durata dieci minuti, e la sua luminosità si attenuava, vicina alla suo dissolversi, portando con sé la gioia orgogliosa della quale era stato gonfiato. Per Gil , in questo moccioso era contenuto Querelle che veniva raccontato; per Querelle , in lui era contenuto Gil.

Questo prestigio era senza dubbio combattuto dal movimento di indietreggiamento del pensiero di Gil che cercava nell’incatenamento delle cause e degli effetti di liberarsi del suo crimine, ma arrivato alla fine di questo movimento, il crimine non avendolo lasciato, i rimorsi erano ancora in lui, lo indebolivano, lo facevano tremare e abbassare la testa, ed era giocoforza ottenere – non più una giustificazione – ma il riconoscimento dell’esistenza di quest’assassinio attraverso un’altra attitudine.

C’è una camera segreta, chiusa da una porta blindata. Questa contiene, oltre a qualche povero cane incatenato, qualche mostro tra i quali il più commovente è quello che sta proprio al centro della stanza, che è il nostro intimo rimprovero. Chiuso in un enorme vaso di cristallo che ha all’incirca la forma del suo corpo, è color malva e di una sostanza molle, quasi gelatinosa. Assomiglierebbe a un grosso pesce, se non fosse per la tristezza molto umana della sua testa. Il domatore che sorveglia i mostri lo disprezza sopra tutti, lui che, noi lo sappiamo, troverebbe un po’ di pace nell’incontro con uno dei suoi pari. Ma non ce ne sono di simili. Gli altri mostri differiscono da lui per un leggero dettaglio. E’ solo e nonostante questo ci ama. Aspetta senza speranza, da noi, uno sguardo amico, che non gli accorderemo mai. Querelle viveva tutti i suoi istanti in questa desolante compagnia.

Gil faceva, senza accorgersene, l’apprendimento doloroso della poesia. L’immagine della catena strappava una fibra e lo strappamento si aggravava fino a permettere il passaggio a una nave, al mare, al mondo, fino a distruggere finalmente Gil che si ritrovava fuori da se stesso, e non avendo più esistenza possibile che in questo mondo che l’aveva appena pugnalato, attraversato, annientato.

La signora Lysiane rimase stupefatta di aver pronunciato la parola porcherie. Era evidente che non c’era niente di male (come si dice : "questo è male", cioè : " questo non è pulito") nel fatto che dei fratelli si assomigliassero. Il male era questa operazione invisibile ed eseguita davanti a voi, che di due esseri ne fa uno (operazione che quando questi due esseri sono dissimili si chiama amore) o che da uno solo di questi ne crea due attraverso la magia di un solo amore: il suo…

Non gioiva molto della sua potenza perché era poco attento alla sua vita interiore, poco capace di esaltarla.

Era al centro infine della libertà.

Durante l’omicidio dell’Armeno, Querelle aveva derubato il cadavere. E’ raro che non si separi dall’idea dell’ omicidio (il movente non fu certo quello della crapula) l’idea del furto. E’ raro che un ragazzo non derubi dopo averlo colpito, il frocio che l’accosta. Non lo colpisce per derubarlo, ma lo deruba perché l’ha colpito.

Lei non era sicura che all’età di quindicianni suo figlio non avesse conosciuto già i misteri dell’amore e quelli che lei ignorava dell’amore proibito.

In lei non c’era  che il va e vieni  a volte rapido e a volte lento dei drappi neri che non poteva far uscire dalla bocca per stenderli al sole, ne cagare dal culo come si caccia un verme solitario.

Era rimasta indifferente al desiderio, davanti alla manifestazione del desiderio altrui, ma la sua castità spirituale preparava un terreno facilmente fecondabile dalla meraviglia.

Improvvisamente, si sentì indegno di parlare una lingua che aveva senza dubbio per funzione uno  scambio di idee pratiche, ma la cui bellezza trasmette soprattutto da chi parla a chi ascolta il sentimento indicibile altrimenti, quasi immediato, di una fraternità segreta, enigmatica – non del sangue nè del linguaggio – ma della spudoratezza e del pudore mostruosi, essenze contrarie, di questo linguaggio. Ed il sacrilegio di aver voluto parlare quando Mario non era più in stato di grazia provocava questo scandalo: di non capire più  quello che significava e pronunciare una frase così ridicolmente letteraria.

Gli sentiva nascere delle radici.

, il nostro ruolo essendo di significare l’universale di un fenomeno particolare.

Il sentimento è corrente che questa riflessione tradisce. Quando è arrestato, l’adolescente pensa di utilizzare questo fattore: l’omosessualità. Poiché noi indichiamo una reazione generale, esterna a noi, non le diamo che una spiegazione rapida e discutibile: il bambino accetta di accordare la parte più preziosa di se stesso; dove il pericolo lo lascia ai suoi desideri più segreti; spera forse di attenuare il destino attraverso questa immolazione; ha improvvisa conoscenza della potente fraternità dei pederasti e crede nella sua virtù; crede nella virtù dell’amore? Basterebbe per saperlo abitare un istante la continuità di Gil, e noi non abbiamo più tempo per farlo. Nè fede. Questo libro dura da troppe pagine e ci annoia. Registriamo dunque la profonda speranza dei giovani detenuti quando sanno che il loro giudice o il loro avvocato è una zia.

E nonostante questo, lasciandosi portare dalla scala mobile, Dedè si metteva i guanti di pelle gialla, aveva la sensazione di essere "portato". Era un pollo. Tutto lo portava. Lo trasportava. Era sicuro di sé. Arrivato alla cima di questa apoteosi, nella sala dove avrebbe iniziato la sua carriera, conobbe quest’altro sentimento: essere arrivato. I suoi guanti erano indossati, il suolo piano, Dedé era padrone nel suo dominio, libero d’essere magnanimo o stronzo.

Che io sia il suo confessore e che possa assolverlo! Che io lo consoli tra le mie braccia e , per finire, lo segua al bagno!

(non poteva amare che quest’elemento grazie al quale esisteva, amarlo di un amore travestito)

"E’ quando soffro che non posso credere in Dio. Sentirei troppo penosamente la mia impotenza nel lamentarmi di un Essere – e con Lui – impossibile da raggiungere. Nel dolore me la prendo solo con me. Nell’infelicità, di poterne ringraziare qualcuno."

"E’ grazie a Gesù che noi possiamo magnificare l’umiltà, poiché fece di lei il segno stesso della divinità. Divinità all’interno di sé -perché rifiutarsi le potenze terrene – opponentesi a queste potenze bisogna che la  divinità sia forte per trionfare su loro. E l’umiltà non può che nascere dall’umiliazione. Se no è falsa vanità."

, queste braccia muscolose coscienti di essere ghirlanda attorno alla testa, e più affascinante di un bouquet, osavano spogliarsi del loro senso comune, rivestendone un altro che segnalava la loro vera essenza. Querelle sorrise di essere così vicino alla vergogna dalla quale non si può risalire e nella quale bisogna certamente scoprire la pace. Si sentì così debole, così vinto che nel suo spirito si formulò questo pensiero desolante per quello che evocava per lui di autunnale, di sporcheria, di ferite delicate e mortali: -Le v’là qui m’marche sur mes brisées.-  Il giorno dopo, l’abbiamo detto, il commissario di Polizia arrestò l’officiale.

"Je ne connaitrai la paix que baisé par lui, mais de telle facon qu’enfilé il me gardera, allongé sur ses cuisses, comme une Pietà garde Jésus mort."

 

 

Traduzione del sottolineato del Querelle de Brest di Jean Genet, Gallimard 1947