Suonelli, gingillini.
Una crescita ardente.
Dove andavano dunque i bambini?
Ripetizioni sincere e
santi numi.
Ridiventavano dentr’in fiore sbocci.
Ah l’avessi saputo che
non c’entrava più
me ne sarei staccato liberamente
e l’isola epossidica de
divenire pertinente sente
un grande desiderio in contro.
Ma l’isola l’isola
l’isola
incroccata nell’antro furente
quanti anni diceva che aveva
l’isola
nel sacrato continente
dopodiché se ne andava
a firmare le carte e a deporre
niente niente
un po’ di me?
Paciugo inglorioso
asfittica e pastoia
dente di cane e dente
di leone.
E latte di gallina, toh
che si sappia! l’arlecchina
blu sorella e musa del
bel poeta muto
le giunga al cuore l’urto.
quando mi arrivano
se qui o lì
e ovunque sia,
questa tue forme di parole,
e queste metriche interrotte,
e questo piano forte,
e poi quella spirale senza senso
e memore che Jung scolpiva
nel giardino, ecco,
mi ti risuoni come lo scalpello,
ché meglio del cesello
opera e cura
ho cara la tua attenzione
(sai che “to’, che si sappia” l’ho rubato a un testo della Valduga?)
e il senza senso è l’inconscio cavaliere cavalcato cavalcante
eh, la Valduga– Ché l’eleganza, tua e sua, è così sfidante…
ah, molesta molesini_
(e dìllo, confessàllo, che scrivi come leggi!!!)