Perché quel mercato di Trichy non ti piacque.

 

 

Si ha dell’India un’idea unitaria. Lungo gangi folle chiaronude bagnano, cremano, mandano barchette fiorite d’arancio agli dei. Nelle città vacche magre bloccano il traffico e tutti si muovono comunque, piano, per evitarle. Matrimoni complicati dove sposi divinati fanno innumerevoli giri attorno ad un altare semplice, senza dio specifico , e la folla li applaude grata dello sforzo in denaro, se non altro. Lunghe fogne all’aperto vicino a villaggi perfetti, sabbiosi, scopati, e la casa-capanna con un rangolo fatto col gesso fino, ogni mattina, davanti alla porta.
Ti scappelli davanti ad ogni ganesha unto e fiorito trovato nei buchi delle mura attorno alla pensione e le scimmie del tempio alto di Brahama le capisci e le coccoli anche se non fanno che tirarti sassi. E la vita dei ricottari, notte e giorno sul mezzo pagato caro, e le famiglie intere pulitissime che a Madras dormono sulle strade e si alzano con l’alba senza fare una piega di sari e la frotta di mendicanti nobilitati che ti scorre addosso e gli autobus strapieni senza nessuno che si tocca.
Nelle piscine dei bramini ti sei seduto sui gradini a fotografare l’acqua stagna ed i colori più brillanti, quei fucsia, quegli oro, quei celesti, gialli cromo, quei bianchi e lunghe barbe su corpi magri, loro, color sole bruciato. Sotto chioschetti intarsiati qualcuno pregava nella posizione del loto. Ti hanno venduto vasetti pieni di polverine rosse e ti sei fatto segnare sulla fronte davanti a collane di fiori arancio, bastoncini d’incenso accesi su piatti di metallo.
Tutto come sapevi.
E la gentilezza di quei baffuti bruni nel porgerti il tè al latte, bollente, facendolo cadere da cinquanta centimetri più volte per raffreddarlo e mangiare il thali in fila come in mensa aziendale, rigorosamente con la mano destra.
Tutto come detto.
Il sarto che ti regala il rocchetto, nessuno che ti ruba lo zaino depositato nell’albergo delle piante giganti, la sfrontatezza dei bambini nelle stazioni accanto alle fabbricatrici di ghirlande di fiori, gli ingegneri della Tata nel giardino di Cochin. Lenti sguardi alle distese di sabbia e cespugli e pietre rovesciate a Mammallapuram del tempio del mare, Vishnu è li che ti guarda, sovrano, in una qualsiasi delle sue reincarnazioni e scolpiscono il marmo a sostituire parti disfatte.
E perché quel mercato di Trichy non ti piacque?
Non era buio, ricordo, il pomeriggio insolentemente cominciava, dopo le ore calde, molto prima del tramonto e si andava per le vie della città affollata candidi di turismo ed allegri delle birre che sapevamo dove comprare. Lungo le strade c’era quel primo odore di notte-prima mattina del viaggio dall’aeroporto fino a Madras ma in più l’indolenza crepitante del mercificare pomeridiano. Siamo arrivati a quel quadrato recintato con un’ entrata ed un’uscita, coperto da tendoni, il mercato vivace di sogni ed esperienze. Hai visto un pollo morto, certo. Ma non capivo. Ero nel posto degli uomini, quelli che lì vivono. Il mercato era un mercato di carne. C’era poca gente, c’era un vuoto. Ma i soliti banchi anche sporchi, penso io, la solita semplice proposta dei mercati, il solito interessato studiarti mentre passi, cosa cambia se davanti vedi limoni e pomodori?
Ma tu dici che la gente ci guardava malignamente, che stavano chiudendo, che qualcuno mi ha lanciato un topo morto tra le gambe. Io vedevo i soliti. Sorrisi e no apparecchiati per lo scambio. Poche rupie logore che scorrono tra mani. Labirinto d ‘intrighi e vita che scorre. Un entusiasmo magico indifferente a me.
Ma perché quel mercato a Trichy non ti piacque, solo Shiva lo sa.




One thought on “

  1. e questo lunedì comincia in viaggio– e mi somiglia questo viaggiare che non so, e poi so, e poi ancora. Babel. La scena della CocaCola. E ancora cerco la scrittrice che lo dica. E tu lo dici. Il topo morto, questa occorrenza. Quanto vorrei narrarti. Perché tu sei inesatta. E perfetta. Dodici età, e un sogno rotto. Quanto sto bene qui.

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