Ma se invece della rigenerazione ci fosse il marcimento?
Le cose come scorrono non sono necessariamente cattive ma cattive colpiscono la Maltagliata e nulla sa fare posto ad altro. E’ una tiritera dolente, si capisce.
Nel 1980 avremmo stabilito assieme che non si poteva agire e nel 1982 la dipendenza dal simulacro della figura amata avrebbe costruito la membrana fibrosa di una cisti così da rendere impermeabile una volta per tutte il nucleo di potenza. Cosa dire di una figura così finita?
Niente.
E’ niente la costruzione di una libertà asfittica. E tutto.
E’ tutto l’impero delle modalità in esistenza. E quasi: perché sempre dolente la visione sintetica ascesa sale e sbatte sulla costruzione condonata: è Alice nella casetta, infila un piede nella canna fumaria. Un minatore appena uscito  vorrebbe tornare nel buco. Isabella Mancolari sa cosa fare per vincersi e progetta un viaggio due per sei nella terra d’amleto il sentenziante. Ovunque ci sia stato dolore o mancanza o vergogna o divieto ci esplode e scaraventa motivi e senso. Come se davvero.
Davvero di sfortuna.
E fosse lì motore, il centro dello strumento. La membrana (ma è più una parete) non permette lo stabilirsi di modalità provvisorie e costruisce una strada traversa che assomiglia al delirio, anche pagando quel che c’è da pagare e continua a dirmi, la Maltagliata stronza, che non vuole marcire, trasfonde pus, denti rotti, fegataccio, flaccidume sgargiante, pericoli di vita, fuga stocastica, pene di esclusioni d’ordigni.
E diventerà qualcosa, per ciò?
No. No. NO. E che non vuole diventare niente, senti ‘sto delirio. E che farà senza tutto, senti la canzone.
Le diciamo che non è così, ‘sta scema, che così muore. Le diciamo della cura. L’alba che guarire. La notte che l’elabora. Il vento che sospesa. L’ordine di vivere, che ripone e semplifica.
Le diciamo che ci assomiglia. Che la piccola fatica è un destino. E il grande dolente una biglia lanciata sul muro dal bambino barato, una figurina panina sbregata, il premio d’argento appartenuto negato. Tutte le ciclamine focolarine di Cerna scattano quando arriva il pieno vero. Che sia una vita balenga va capito, ed è così che l’assestarsi fà.

Ma non c’è verso, la prepotente non paga. O pagherà le incomprensibili scadenze, fatte di corollari postille sequenze decreti e di parallassi spaccati in fila all’ordine, la composizione. E perde anche lei, il suo delirio perde, obbliga un luogo comune che balbetta, decide di una posizione sciancata che sistema stancamente la gente-così nel cavo laterale,  che ha l’istituito salvo, come un gruppo pizza mai sfamato sta in un centro di salute mentale.

One thought on “

  1. quando apro e trovo, qui, è come se tenessi il conto, nel diario manicomiale, di tutta la sanità che scorre, come deve. una graffitica presenza sul perimetro di un-quel giardino, come la venatura che si fa con il cucchiaio. una angelo alla mia tavola, direbbe J.–

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