Iniquo. Non starò a spiegartelo. C’è un sogno, la notte, che continua a ritornare. E’ la ripetizione di un gesto. Questo gesto, vedi, continua a ritornarmi. Un poco fa così: c’è uno spazio tra me e l’altro, uno spazio semisacro, appena possibile, scarno. Lì è fattibile l’incontro, ma quell’incontro è fatto di substrato osservante, che c’è uno sguardo, che c’è un’apertura d’occhio, che c’è un vedere. Chi guarda chi? I due si guardano. Chi vuole chi? I due si vogliono. No. Mi si vuole. No. Voglio io. Ma temo che non siano soli, nel sogno non sono soli. Hanno con sé un’aura altrui. Questa li circonda e li rende desiderabili, moltiplica gli affetti e gli affanni, gravida il respiro, circonfonde le visioni. Riuscire ad allontanarsi dall’altro vero che importa e proiettarsi nello spazio esiguo dove si verrà rapiti. Ratti. Sabine. Naiadi. Danaidi (supplici). Odissea. Ma vaffanculo i greci, cosa me ne verrà mai in tasca? Adesso è ora e ora , nel sogno, so che c’è quello spazio, esiguo, dove si gioca un allontanamento tradente e nel movimento di quel tradimento un boccio d’amore. Prima era amore? E dopo, dopo è sicuramente gesto estatico. Vicino alla bocca, guardare la bocca, abboccare? A lungo tentennare nel corpo porto, nel corpo proposto, nella tensione dei mille muscoli del viso, voglio un viso, una faccia, una davanti, di un ragazzo bruno, i capelli corti, gli occhi lucenti, un’espressione mobile, viva, disincantata, eternamente giocosa. E il gioco che facciamo non lo conosco bene, no, ha una sua esilità, un suo disequilibrio, una fretta e una misconoscenza e un’onnipotenza gracile di adolescenze mai concluse, è l’antimaturo il ragazzo che mi bacia, infine, mi bacia e quel bacio è tutto. Tutto è lì, nell’incontro finissimo e morbido e morboso, nell’incontro scintillante, nell’incontro brumoso e vietato, impossibile, nell’incontro impossibile, quel nostro corpo che diventa fantasma, fantasia, polvere, idea, ecco perché poi mi viene da piangere.
(ma dicevo che mi piaceva la notte, tempo fa).

One thought on “

  1. Giustamente l’iniquo di terza non ha avuto nessun commento pratico. Era “troppo” (vero). E datato a strategia.

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