Lo scultore leggeva antologie di poesia italiana, capitolo ‘500. A detta del Pellegrini Francesco C. nulla di più grande, nella poesia del gran secolo, che l’Orlando Furioso, la Gerusalemme e la traduzione dell’Eneide di Annibal Caro. Leggeva, lui, invece questa:
Non ha l’ottimo artista alcun concetto,
ch’un marmo solo in sé non circonscriva
col suo soverchio, e solo a quello arriva
la man che obbedisce all’intelletto.
Il mal ch’io fuggo, e ‘l ben ch’io mi prometto
in te, donna leggiadra altera e diva,
tal si nasconde; e perch’io più non viva,
contraria ho l’arte al desiato effetto.
Amor dunque non ha né tua beltate,
o fortuna, o durezza, o gran disdegno,
del mio mal colpa, o mio destino o sorte,
se dentro del tuo cor morte e pietate
porti in un tempo, e che ‘l mio basso ingegno
non sappia ardendo trarne altro che morte.
E’ Buonarroti che "contempla nella donna sua la felicità, ma non sa trarne altro che tormento". E c’è questa carne che copre l’anima e che deve essere scolpita (la carne) per manifestarla (l’anima). Ma la mano dello scultore si ferma prima, se è solo l’intelligenza a guidarla.
Lo scultore è una vita che non scolpisce. Ha finito di togliere, sta assemblando anche lui. Basta vene di legno seguite con lo sguardo e il dito fino a capirne l’origine e la curva. Basta calcare sulle ombreggiature che virano, individuare il frattale che pregiudica la scorza.
Basta inserire il cuneo nel punto di minor resistenza dei graniti e dei travertini, nel bianco azzuro di Carrara, nel rosso veronese, nel verde, e anche le pietre morbide come il tufo, non credere, non credere…basta sbagliarsi con le forme e rinunciare alla materia, dare un braccio per rendere conto di una visione incompiuta.
Basta basta, che dove della lingua hai ragionato tu non intendi fiato, fiato, fiato; e dove hai ammendato, o ricorretto, o levato o aggiunto, tu non intendi punto, punto, punto; e dove hai preso assunto di giudicar, tu sembri il Carafulla, e non intendi nulla, nulla, nulla! (da "Contro Girolamo Ruscelli" di Anton Francesco Grazzini (Lasca)).
leggo e dico sì sì sì
e l’altra parte insiste così che io mi tendo e raschio biforcata nulla nulla nulla!
che belle belle cose, però, che apri, Silvia.