Chi guarda nell’acqua vede, è vero, la propria immagine, ma ben presto dietro di essa emergono creature viventi, probabilmente pesci, innocui abitatori del profondo- innocui, se il lago non fosse per molti abitato da spettri, da esseri acquatici di tipo speciale. Talvolta rimane impigliata nella rete del pescatore un’ondina, pesce femminile semiumano. Le ondine sono creature ammaliatrici:

Per metà lei lo tirò, per metà egli affondò

E nessuno lo vide più.

(Goethe, Der Fischer, ballata)

L’ondina rappresenta un livello ancor più istintuale del magico essere femminile che io designo con il termine latino Anima. Può trattarsi anche di sirene, melusine, ninfe dei boschi, grazie, figlie del re degli elfi, lamie e succubi che seducono i giovani e succhiano loro la vita.

Queste figure, dirà il critico moralista, sono proiezioni di stati d’animo pieni di bramosie e di fantasie riprovevoli. Non si può negare che una tale posizione sia, entro certi limiti, giustificata. Ma è tutta la verità? L’ondina è solo il prodotto di un rilassamento morale? Non sono già esistiti molto tempo fa esseri simili, in un’epoca in cui la coscienza umana, ancora ai suoi albori, era completamente fusa con la natura? Gli spiriti dei boschi, dei campi e dei corsi d’acqua sono assai anteriori ai problemi della coscienza morale. Inoltre, questi esseri erano temuti oltre che amati, sicché non erano caratterizzati soltanto dai loro particolari atteggiamenti erotici. La coscienza era allora molto più semplice, e la sua consistenza irrisoria. Presso i primitivi, un enorme ammontare di ciò che noi oggi sentiamo come parte integrante del nostro essere psichico è tranquillamente proiettato oltre lontani confini.

La parola "proiettato" mal si adatta però al nostro caso, poiché nulla è stato espulso fuori dall’anima, ma piuttosto la psiche, attraverso una serie di atti di introiezione, è arrivata alla complessità che noi oggi le riconosciamo. La sua complessità è aumentata in proporzione alla despiritualizzazione della natura. La conturbante grazia dei tempi passati è l’odierna "fantasia erotica", che complica penosamente la nostra vita psichica. Ci si fa incontro proprio come un’ondina; e per di più assomiglia a un succubo; come una strega assume forme diverse e soprattutto fruisce di un’intollerabile autonomia che davvero non spetterebbe a un contenuto psichico. A volte è causa di malie che uguagliano la peggiore stregoneria, o di angosce che nessuna apparizione diabolica potrebbe superare. E’ un essere malizioso che attraversa il nostro cammino con metamorfosi e travestimenti e che ci gioca ogni sorta di tiri, ci crea illusioni, fauste e nefaste, depressioni ed estasi, affetti incontrollati e così via. Anche in condizioni di ragionevole introiezione, l’ondina non ha deposto la sua malizia, né la strega ha smesso di mescolare i suoi sordidi filtri d’amore e di morte; il suo veleno magico si è raffinato in intrigo e autoinganno, invisibili sì ma non meno pericolosi.

Ma dove prendiamo il coraggio di chiamare Anima quest’elfo? Anima indica invero qualcosa di meraviglioso e d’immortale! Eppure non è stato sempre così: non bisogna dimenticare che quest’anima "meravigliosa ed immortale" è un’idea dogmatica, che ha lo scopo di esorcizzare e di imprigionare qualcosa di inquietantemente vivo e spontaneo. La parola tedesca Seele (anima) è strettamente imparentata, attraverso la forma gotica saiwalo, con la parola greca aiolos, che significa "mosso", "cangiante", qualcosa di simile a una farfalla, in greco psyché, che svolazza ebbra di fiore in fiore e vive di miele e di amore. Nella tipologia gnostica l’ànthropos psychikos (l’uomo psichico) è inferiore allo pneumatikos (l’uomo spirituale), e ci sono infine anche anime malvagie che debbono ardere nell’inferno per tutta l’eternità. Persino l’innocentissima anima del neonato non battezzato è quanto meno privata della visione beatifica. Presso i primitivi essa è magico soffio vitale (quindi "anima") o fiamma. Ben si esprime un Logion non canonico del Signore:" Chi è vicino a me è vicino al fuoco." Per Eraclito l’anima è, al suo più alto livello, ardente e asciutta, poiché psyché è strettamente connessa con "soffio fresco"; psychein significa alitare, psychros è freddo e psychos fresco.

Essere dotato di anima è essere vivo. L’anima è la parte vivente dell’uomo, ciò che vive di per sé e dà vita; se Dio ha immesso in Adamo un soffio di vita è perché potesse vivere. Con astuzia e con giocoso inganno, l’anima attira verso la vita l’inerzia della materia che non vuol vivere. Fa credere all’uomo cose inverosimili: affinché la vita sia vissuta. Come Eva nel paradiso terrestre non fu soddisfatta fino a che non ebbe convinto Adamo della bontà della mela proibita, l’anima è piena di lacci e insidie tese perché l’uomo vi cada, raggiunga la terra, vi sia irretito e vi rimanga legato: affinché la vita sia vissuta. Se non fosse per la vivacità e per l’iridescenza dell’anima, l’uomo si fermerebbe alla sua massima passione, l’accidia, cui fa da avvocato un certo tipo di ragionevolezza e che un certo tipo di moralità approva.

Avere un’anima è precisamente il rischio della vita, poiché l’anima è un demone dispensatore di vita che esegue il suo gioco da elfo al di sopra e al di sotto dell’esistenza umana e che perciò (nel dogma) è minacciato da sovrumani castighi e propiziato con sovrumane benedizioni, che vanno molto al di là di quanto l’uomo può meritare. Cielo e inferno sono destinati all’anima e non all’uomo civile, il quale nella sua nudità e ottusità non saprebbe proprio che fare di sé in una Gerusalemme celeste.

L’Anima non è un’entità dogmatica, non è un‘anima rationalis (che è un concetto filosofico), ma un archetipo naturale che sussume in modo soddisfacente tutte le attestazioni dell’inconscio, dello spirito primitivo, della storia della lingua e della religione. E’ un "fattore" nel senso proprio del termine. Non può essere fatta; è sempre l’a priori di umori, reazioni, impulsi e di tutto quel che esiste di spontaneo nella psiche. E’ qualcosa che vive di per sé, che ci fa vivere; una vita dietro la coscienza, alla quale non può essere completamente integrata e dalla quale, piuttosto, emerge. Poiché in definitiva la vita psichica è per la maggior parte un inconscio che circonda la coscienza da ogni lato; nozione questa che diventa senz’altro evidente quando ci si rende conto di quale inconscia preparazione sia necessaria, ad esempio, per prendere coscienza di un’impressione sensoriale, per registrarla.

Benché sembri che la totalità della vita psichica inconscia debba essere attribuita all’Anima, questa non è che un archetipo tra molti; non caratterizza quindi di per sé l’inconscio, di cui è soltanto un aspetto. Questo già risulta dal fatto della sua femminilità. Ciò che in me, uomo, è non-Io, non è cioè maschile, è molto probabilmente femminile, e poiché il non-Io è considerato non appartenente all’Io, e pertanto al di fuori di esso, l’immagine dell’Anima è abitualmente proiettata su donne. In ciascun sesso è insito (fino a un certo punto) il sesso opposto dato che, dal punto di vista biologico, è soltanto la maggior quantità di geni maschili che fa pendere la bilancia in favore della virilità. Il minor numero di geni femminili sembra costituire un carattere femminile che però, a causa della sua inferiorità quantitativa, solitamente rimane inconscio.

Con l’archetipo dell’Anima incontriamo il regno degli dèi, ovvero la regione che la metafisica ha riservato a sé stessa. Tutto quel che l’Anima tocca diventa numinoso, cioè assoluto, pericoloso, soggetto a tabù, magico. Essa è la serpe nel paradiso dell’uomo innocente, pieno di buoni propositi e di buone intenzioni. L’Anima ci fornisce i motivi che ci convincono a non tuffarci nell’inconscio, evitando così che vadano distrutte le nostre inibizioni morali e si scatenino forze che meglio sarebbe stato lasciare indisturbate. Come sempre, anche qui essa non ha del tutto torto, inquantoché la vita in sé non è soltanto un bene, è anche male. In quanto vuole la vita l’Anima vuole il bene e il male. Nel regno degli elfi queste categorie non esistono: la vita corporea e quella psichica hanno spesso l’impudenza di cavarsela molto meglio e di restare sanissime senza morale convenzionale.

L’Anima crede nel /testo greco/ (il bello e il buono), concetto primitivo anteriore alla scoperta dell’opposizione tra estetica e morale. E’ occorsa una lunga differenziazione cristiana per chiarire che il bene non è sempre bello e il bello non è necessariamente buono. La paradossalità di questa coppia di concetti non turbava né gli antichi né i primitivi. L’anima è conservatrice e si attiene in modo esasperante all’umanità antica. Perciò appare spesso e volentieri in veste stoica, dimostrando una particolare predilizione per la Grecia e l’Egitto (ricordo a questo proposito i classici Rider Haggard e Pierre Benoit). Anche la rinascimentale Hypnerotomachia Poliphili e il Faust di Goethe hanno scavato profondamente nell’antichità per trovare le vrai mot de la situation. La prima ha evocato la regina Venere, il secondo Elena di Troia. Aniela Jaffé ha abbozzato un quadro vivace dell’Anima nel mondo dei romantici e nel periodo Biedermeier. Non voglio moltiplicare il numero delle testimonianze importanti e autentiche; esse ci forniscono materiali e simboli veri in misura sufficiente a fecondare la nostra meditazione. A chi vuol sapere come vadano le cose quando l’Anima appare nella società moderna, raccomando soprattutto The Private Life of Helen of Troy [La vita privata di Elena di Troia] di Erskine. E’ opera non poco profonda, poiché su tutto ciò che veramente vive spira l’alito dell’eternità. L’anima è la vita al di là di tutte le categorie, e non si cura di biasimi e di apprezzamenti. La Regina del cielo e l’ochetta impigliata nella trappola della vita! Si è mai riflettuto a quale misero destino sia stata sottoposta sotto la volta del cielo la leggenda di Maria? La vita senza senso né regola che non realizza pienamente sé stessa è oggetto di spavento e difesa per l’uomo ben integrato nella sua civiltà; né si può dargli torto, perché la vita è altresì madre di ogni tragedia e assurdità. L’uomo, nato per vivere sulla terra, lotta fin dall’inizio, con il suo sano istinto animale, contro la propria anima e i demoni che in essa albergano. Se l’anima fosse inequivocabilmente oscura la cosa sarebbe facile, ma purtroppo non è così, perché la stessa Anima può apparire anche come angelo di luce, come psicopompo, e condurre ai valori più alti, come indica il Faust.

 

C.G. Jung, da Archetipi dell’inconscio collettivo , "Gli archetipi e l’inconscio collettivo" (op. 9), Bollati Boringhieri 1997, pp.23-27

 

 

 

 

 

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