Signor Zimmerman(n)

Quando poi hai dato tutto al diavolo, non al crocicchio

ma nella casa di fronte, signor Zimmermann

abbiamo pianto per te, per le tue belle dita e

per la tua chitarra, il tuo banjo e la tua

armonica da bocca

ma non fu una morte memorabile, passava

dalle nostre genuflessioni e dal nostro

scontento.

Tu riccetto continuavi ad inseguire un’ombra pallida stramazzata

nei fossi della musica e sempre al terzo risorta, un’ombra

allucinata e vagolante e chiara e morbida, un’ombra

illuminata, chissà da quale gran sole l’hai raccolta, quest’ombra

che vaga.

Le tue parti bambine in girotondo, come pietre rotolanti, come parti

che mai mi consegneranno un fiore, come l’amore

che si pronuncia " dove si appoggiano i tuoi occhi"

e come una fame davanti alla porta dell’estate, ruggine e america

potata, un fiore lungo un anno mai meritato brilla

delle stelle incandescenti senza firmamento.

Così sorgi.

Incantamento e tarantola.

Nelle spiagge di un est avvicendate

alle sorprendenti solitudini della storia in una pioggia dura che

precederà l’estate, non vi darò niente

e niente se non me.

Tu scoperto continuavi ad inseguire un’orma rossa percossa

nei declivi della storia e sempre al terzo risorta, un’orma

allucinata e provocante e netta e sordida, un’orma

ben calcata, chissà da quale quasi marte  l’hai raccolta, quest’orma

che spara.

Quando poi hai rifatto il verso al secolo, non al ventesimo

ma al mondo di fronte, signor Zimmermann

ci siamo divertiti un sacco, con la tua carastella e

con la voce che impara, la tua camaleontica

armonica di  bocca

ma non fu mondo sostenibile, c’entrava

con le  nostre genuflessioni e con il nostro

contorno.

Adesso un movimento che c’ incava scavalca il fossato, il vento,

il muretto di fronte, e s’inabissa lucido nel mare della bava del

giornalista che investe con le domande giunte il tuo strano stare

"che vuoi dire?", "a che servi?",  rendi conto di come hai fatto a esistere

cuor di Columbia, cuor di country, cuorama, facci capire che

assumi  tua conditio, ex clown di strada, ministrel

zoppo che fai la bella vita rubata della star, facci vedere che t’inchini

anche tu, anche tu, Maggie’s farm, dove si inclina la strada.

Agli scheletri del folk va porta ammenda, subito, tamburino chiocciante.

Quello che dici, vedi, ha il senso del niente: dà un’atmosfera pingue

e ricopre i desideri del mezzovest, poi nella grande ciminiera

sfiata dall’industria dei begliuomini, è lì che sei infilato stasera.

-Ma quanto comunque amore esce da questo treno

che fischia e rotola, grondante tanto

di pioggia fresca e di poco sereno!-

Un amore in cui non cadi, quello che accoglie

turbini soffocati a mezzogiorno e scarpe rotte sulle strade asciutte

nella visione austera del suono che precipita mentre si strugge

e non ritorna a mondo alcuna delle visioni spropositate tutte

ma un amore che non pare tondo, e si prova a ricondurre quello che…

a uno strato di sapienza leso e ingiusto, una specie di scoperto

indulto, prende la musica, ci fa due giri intorno.

E non pareva bello, a tutti e tre, John Wesley Harding

chiudere gli occhi e la porta per essere tuoi stanotte.

Spegnere la lampada e non sembrare spaventati, perché

mai cattivi, mai invidiosi, mai sporcati

e chiudere la porta ed essere tuoi stanotte. Vedere

il naso del primo re misteriosamente scomparso

andare via veloci perché qualcuno guarda dalla finestra

scendere dalla sorgente delle cose e chiedere perché i campi

si consumino e andare così lontani da casa

il tempo di socchiudere gli occhi e incrociare le gambe

e di un respiro profondo, quanto lontano?

Che bella, che bella, bella cosa!

disse Vera allungandoti la mano,

signor Zimmermann.