Come in una fantasia di Leonardo da Vinci  

 (sinapsi con Gli altari di R.Valentino)

 

 

Quello che entra non è l’eroe. Quello che entra è il cavalier servente, è Krishna che accompagna il suo signore. Ha suonato alla porta per qualche minuto, e Gertrude si è alzata per aprire, messa chissàcome. "E’ mattina presto e questo è passato a prendersi l’angelo ora, e che cazzo". Lo fa entrare senz’altro, lo accompagna nella stanza ad intravedere l’amico rivolto (un quadro dell’académie française) e mentre parlano, sbattuta, ritorna a letto. Ma Hewar e gabriele non hanno molto da dirsi, forse usano un codice, Hewar si distrae, si gira. Guarda la scena e non si trattiene. Nessuno si tratterrebbe, pensa. Sotto il lenzuolo-velo molte forme stanno (in abbandono, in oblio), le linee del sedere di Gertrude hanno movimento di musica e poi si gira di scatto per vedere chi se ne va. Sotto il lenzuolo-velo Maddalena è lunga splendente appendice al terzo corpo. Nessuno se ne sta andando.

 

Hewar si slaccia la cintura e tira giù la zip delle braghe. Solo quel gesto, lei nuda e riversa, quel gesto solo, lei bambina, ora uno sconosciuto piccolo uomo in piedi e più grande di lei, ora una gravida erezione d’alba, ora quella prepotenza soffice di penombra, ora la fantasia avverata. Si appoggia a leinuda come  un animale buono e le cerca la bocca porgendolo con la mano. E’ giovane, lo sente, morde caldo e morde bene, ha fretta, ha voglia, una voglia di rosa sulla spalla destra. E’ fidanzato, si capisce, saccheggia dove può e percorre ritmi anticati. Ha la penetrazione morbida ma progressive sfiancare così va frenato, indirizzato, gestito, girato.

 

Gli altri fingono di non vedere. Hanno un silenzio che li contraddistingue, color malva direi.

 

Ma alla fine ci si congeda in fretta e le due giovani donne rimangono allungate nel sudario. Reinfilarsi tutto con bizzarra solerzia, un mondo pieno di nuove fiche fuori dalla porta richiusa. Scendono le scale a due a due. Fierezza maschia, odori dappertutto.

 

Molto tempo dopo lui prova a riassaporare quei momenti sorpresi e gli cola una lieve lacrima.

Sua madre lo nutriva come un uccello disperato con prodigalità e grazia. Uno svezzamento inconcluso. Sua madre, devota ancella, dopo il bagnetto nella tinozza con il sapone del bucato ed una santa sfregata con l’asciugamano ben asciutto se lo attaccava al seno e glielo pompava dentro, lui adorava tutto questo. Una donna di candore, un gioiello frantumabile  incastonato nel suo platino, leggera chiara s’insinuava senza avvisare, girava per il disimpegno facendo finta che non c’era, ed era svestita di grembiule, abbagliante carne illimitata immensa, se lo attaccava al seno eppoi con i capezzoli pieni, grassi lamponi, lo riempiva bene e lo riempiva male.