Vanno gli occhi della bambina precedente azzurra
sui saliscendi stabili delle parole oblique del giornale
assecenè!
Ha davanti il possibile e l’impo, come da gergo accreditato
e sa, vedrà tuttoquesto assoggettarsi il giorno dopo, a babbomorto
lo vedrà diventare acqua di Pilato, rio Storto, mesozoico
acconto.
Non è stupida, e ricorda insistente
quante albe sono successe al cammino inviso
e perché non la vollero quando aveva braccia innamorate.
Ha in mente il movimento, che raccolse, che aveva domandato
e ricorda bene ogni parola sconcia, il palpito delle lingue sul palato
la gogna. Ha visi chiari, loro disegno stato e stabile, invecchiato
ora che stanno ad annaspare in culle e semi
poveri scemi.
Torna a mente, ora stralunato presente
l’orgoglio mai condiviso, l’impellente, il proteso
l’immancabile terrorismo del niente
il suo bellissimo viso
come a dover rimanere memoria, indeciso
e un’altra storia percorsa all’improvviso, come un incidente viene
d’auto, o un’overdose, o un crollo dall’alto,
o trielina nelle tue povere povere povere
vene.
Scaltro.
Perduto, che altro?
E perde quella ch’è stata la sua vera pura
la sua paura, tuo scalpito. Malcagato.
Che fai le feste dell’uva. E metti il fiocco al nascito.
Sai cosa dura? Per com’è non il tuo lascito
ma l’impostura di chi ti vorrebbe andato.
Fa bene, perché solo questo le hai dato, fregaossi,
ti sei accostato a una vita accatastata
e condonata, nel ricordo falsificato dei morti. Nessuno crea.
Nessuna ha volto e sangue di potente abiura:
la fanciulla dell’azzurro ambitesa,
la sua invincibile pretesa.
Ma state attenti a cosa vi ritorna, date niente
nel niente restate aggrovigliati, siete molti, siete spessi
-è lo stesso-
affondate poveri nel fango che vi tiene
(assecenè!)
il momento magico della nozze invertito
a erezioni senza credito e un solo
dito a dire che consegue:
ne avete avute abbastanza?
di idee morte?
quale azzurro volevate nel morire?
e ci ritornerà il vero vostro marcio
nella prima vergogna?
Oppure non sentite nulla
e basta vivere?
vivere spugna?