Una bambina, tralalà, corre si spinge si volta, vedi un po’, s’arrota bisticcia tra sale, ah!, ed eccola là.
Fatina millimetro, un filo sboccia. Ma cade.
Un aereo per arrivare dalla mamma. Le vien da piangere, come ritornare fin dove partiva (dalle quattro strade) e come ritovare quel cenno capo amore e come ristabilire il potere che pareva immenso quando decideva di an-dar-se-ne con l’omone del paese più distante che la aspettava sotto la porta la sera perché, si sa, sotto le porte di sera appaiono i fantasmi degli anni belli e del sorriso tramortente degli anni belli i turbamenti?
Una bambina, tralalà.
E una vecchina, eccola qua.
Stampata sulla faccia la smorfia dell’intreccio sospeso e grave di un miracolo scampato, sdentato e largo una grande sconfitta, e, sai, le poche cose solide della vitta. Che sono: gli altri che mi guardano mentre faccio qualcosa a caso, la calma ed il calore e la tranquillità di un divano-letto, la tenebra pulsante della notte che viene, un mattino inetto. L’uomo del sogno di ieri ha preso la via delle fiabe coi suoi figli caproni caproni, ci vuole un ospedale.
Questo grande corpo. Farlo amare da una radiografia, una cistografia, una flebo, bisogno di grande cura grande corpo ha.
Vieni ad amare la grande madre deturpata nuovo mascherato figlio apparente e portale due fiori, un pensierino, un frutto, mentre le stai vicino e non vi dite niente, un seme, un giornaletto, una camicia rosa, a guardare fuori dalla finestra del quarto piano il fiume scorrere, un cilicio, un rosario, una medaglietta o uno scialle a maglia preparato con il filo delle lane di tua moglie.
Una moglina, dritta su per il cielo pulsante, con i suoi desideri esasperanti nella collezione dei dolori e le  pretese incapibili come per le tende, la domenica, le visite, per l’attenzione e l’armadio. Il suo portare tutto ai riti di famiglia e cimitero.
Una moglina, tralalà, corre si spinge si volta, vedi un po’, s’arrota bisticcia tra sale, ah!, ed eccola là.
Fatina millimetro, un filo sboccia. Ma cade.