Preghiera affinché Alain mi perdoni.

Lo so, quel prisma. Ti ho detto che era una follia da vecchio hippie, in pratica.
Ti ho detto di mettere i piedi per terra, Alain nel volo del signore, volto buono, vai a giocare a golf col tuo analista. Dura sono stata dura come la pietra, abbasso al misticismo sdrucciolo di quel pensiero debole-dominante.
Il punto era che quel prisma era un regalo. A rifrangere le luce nel suo spettro, molto semplice.
Ce l’avevo con l’Elisabeth, io, nuova convertita, ce l’avevo con l’Helène, io, folle buttata al cielo. Con tutta quell’irrazionalità risorgente che vedevo leggera leggera, lino crespo a fior di moda. Ce l’avevo.
Il punto era che quel prisma era respiro, e contatto, e centramento, e frattura, e stimolo e vento.
Troppo giovane, anch’io, nel mio fissare chiodi. E forse debole tu, mi pareva di rafforzarti con la contraddizione, col voto contro, con le logiche dei cardini.
Alain come la polvere che ruota in acqua in vortice. Alain rapito dal trend. Insettino mutevole.
Ed ero io, io, la polvere e l’insetto, la barchina di carta che finisce nel rigagnolo, temevo, vedi, questo, "sciences pures et de la santé", cose solide intendo, per sfuggire al ruggito dell’incomprensibile. Disegno.

Alain, perdona. Oggi ho preso in mano il tuo regalo prisma, che è nella mia vetrina, davanti. Tra i mille oggetti del comunque mondo dal quale non mi stacco. Avevo una tristezza cattiva addosso, il concetto di utilità, vedi, quello che serve, quello che aiuta, cos’è? E perché questo bisogno, che poi è una cosa interna, quando tutto resta irraggiungibile e discosto, impossibile a dirsi, e la risposta mia semi-paralisi, vado a giocare a golf con il mio analista? Insomma: con il tuo prisma sono usciti tutti i colori, preso raro il sole di fuori.
Perdono Alain, le parole bastarde della giovanetta prima falle suonare diverse, dai.
Fammi sorridere perdio perbuio,
gemello arcobaleno,
ti prego

ti prego.