E allora Gravida, che dire?, Gravida si era un filo allontanata dallo Scultore.

Le piaceva, che dire?, le piaceva quel frullare materia. Ma la sentiva ingombrante e sconcia. La sentiva ostruente. Magmatica. Calcarea. Dolomica.

La sentiva occupante, forte di sua presenza prima. Una cosa così, che poi dentro è leggera e fatta di quasi nulla, una cosa così, ecco, come investirla? Aveva un bel dire, lui, che, come Moore, come Moore, lui lavorava col vuoto, con l’aria (che è vuoto pressapoco), col frrrr. Aveva un bel dire.

Ma era un bel dire, capite, nulla di fatto, un bel dire.

Proviamo a spiegarci: alla fine quel bronzo, quella cera, erano La Materia Esposta, e il vuoto solo una deriva. Palladio, forse, ne aveva mantenute le proporzioni. Seguito un canone. E così rispettate le negazioni. Ma se faccio  quello che la mia manina vuole propongo solo pieni, che poi è quello che voglio mostrare. Il vuoto è nel calcolo, nell’aritmetica, nell’elaborazione del concetto.

Pensava lei.

Si era allontanata dalle parole disgiunte. Voleva dimostrazioni effettive e valida congiunzione di descrizione e proposta. Rappresentazione ed interpretazione. Voleva, voleva, voleva questa congiunzione. Stufa degli apparati a sé stanti. Desiderava l’atto. La scena primaria.

La scena primaria. 

Detta così, immaginata s’intende, poteva partire da un pieno che si inserisce in un vuoto. Come rappresentare quel vuoto? E’ mai stato rappresentato quel vuoto?

No.

Ma torna indietro, la mora. Quale vuoto? Un organo cavo? Nessuno parla dell’intestino come di un vuoto, sette metri di mucosa, voglio veder che vuoto, una parete sensibile e reagente, cellule specializzate, mica quanti!  Nessuno ha mai rappresentato il vuoto con una lingua non astratta.

Come nasce una lingua astratta, si chiede lei?

Non dal corpo, non dalle sue misure, per quanto Eco ne conteggi ogni intercapedine. Una lingua astratta nasce da un’idea. E l’idea da una sensazione, da un dato recepito senza presa di coscienza, da un mmmmh.

Allora, Gravida dice: l’mmmmh crea il vuoto.

Porta il fatto allo Scultore.

Che non se ne fa niente, preferisce fotterla.

9 thoughts on “

  1. mi sono sempre chiesto se la materia, sia avanzo del contesto. mi spiego. può esistere, un corpo, decontestualizzato dal suo vuoto? mi rispiego. se scolpire è eliminare gli scarti, lo scultore è frutto di un’eliminazione? allora chi è, che ci scolpisce? e poi con l’anima. scegliamo un pensiero come pieno tra i vuoti o leggiamo i vuoti per trovare un pensiero? anche dipingendo. acquerelli. non so prescindere dal vuoto intorno. lui c’è già, questo è. poi, alla fine, anche fottere è preferibile, sì.

    ah, complimentissimi

  2. Silvia, a volte hai una precisione che taglia il marmo con la sinistra di dio (minuscolo ma sempre)– ti ho immaginata distesa su un’opera di Moore nel prato, meriti maggio.

  3. A Giosannino: forse le sculture sono molte, e non c’è Una scultura. Con quell’operazione posso arrivare a dare atto a molte possibili idee. Nello specifico, vista tutta la mistica che gira attorno al concetto di vuoto, mi pare di poterlo investire di diversa “idealità” rispetto al concetto che solitamente abbiamo della materia.

    Ovviamente “quel” vuoto si porta appresso “quel” pieno.

    Vogliono queste essere anche delle riflessioni sulla nascita del pensiero femminile ( e rimando a Silvia Veggetti Finzi “Il bambino della notte”).

    Un bacello a Maiko.

  4. Alla ricerca di Gravida, approdo.

    Meno funambolica dello scorcio su TCWK, ma altrettanto interessante (in stato).

    Simpatico cortocircuito. Gravida è piena (almeno di nome) eppure lo scultore la riempie lo stesso (di fatto).

    Quale vuoto? Un vuoto a rendere (o arrendere, quasi) all’evidenza del pensiero nudo, che ventriloqua una lingua riversa sul pavimento della bocca. Lingua non astratta, s’intende, organo muscolare capace si sferrare colpi articolati andando a vuoto, id est, capace di articolare parole che manchino il bersaglio (chi l’ha spostato più oltre? vertigine: costei crea il vuoto…)

    :)

    Mmmm… e io vedo un organo cavo sotteso sul precipizillo kafkiano de “il ponte”, alla cui brusca caduta nel girarsi finale corrisponde lo sferzante richiamo animalescamente coitale equale dell’ultima riga.

    Complimentoni.

  5. Ciao parolaia, bella un bel po’ la tua visita!

    E suggestiva e speculante l’idea del vuoto creato da un bersaglio mancato. Solo che con questa “definizione” ci muoviamo sempre invocando un’assenza.

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