16 thoughts on “

  1. che bello questo uso che fai del dialetto… anche se ( per nascita e tradizione ) è di una terra ostile : )))). o’ spacà mi, veramente ? dio, bellissimo. ciao. m

  2. Mamma mia, Silvia, mamma mia– qui ti gocciolerei nelle mani leggendo, e sarebbe davvero l’unico dire. Questo tuo testo è una delle tue cose più preziose. Amerei infinitamente leggerlo a voce alta e salvarlo. Fammi sapere in privato se posso.

  3. ho provato. Non sono in grado, io meridionale, di salvare le inflessioni che devono avere queste voci di dentro. Ma questo testo, questo testo, Silvia… lo rileggo senza fiato davvero. Ed allora, lo leggo per me, come lo contamino io, con la voce del sud che sussurra.

  4. E’ un testo contaminato, Maiko. Il dialetto (addomesticato, intendiamoci, ma comunque ubiquitario e dirompente nella mente di verona-brescia) parla all’italiano pseudoletterato e prova a dare voci alle domande di base. Qualunque inflessione porga cuore può portare avanti questa distorsione creante. E’ che i dialetti del nord si vergognano, pensa che a Milano nessuno parla più dialetto, treni italianizzati e rimozione del passato ardente.

  5. la musica, qui, la sento gocciolare. roca e sopraffina. una impareggiabile armonia di voce. detta. sofferta. offerta. spartito che chiede silenzio assoluto. unico. stamani ciò mi serviva per riconciliarmi con la parola.

  6. è un testo bello da leggere con cadenze “estranee” perchè è un testo di valore e dunque passibile di tante interpretazioni, anche vocali.

    a me piacerebe una trasmissione, un dvd, un accidente di qualcosa dove un calabrese legge eoardo firpo, un romano biagio marin, un trentino anna maria farabbi, un toscano cecchinel, un piemontese il belli.

    mi piacerebbe tanto godere di uno spettacolo così.

    irazoqui

  7. faccio fatica ad accettare il dialetto mio, nostro,

    lo ripudio

    abbondantemente

    e lo tengo a distanza

    il più possibile

    ma devo dirti che

    qui

    mi sono fermata

    e ho ascoltato

    suona bene,

    mi ha coinvolta

    l’ho letta a voce alta, persino

    non l’avrei mai detto,

    quasi un miracolo

    ciao bella

    :)

  8. Ciao Mari! Pensa che mentre scrivevi ero su karpos a cercar informazioni sulla Sardegna e il Pitta.

    Capisco quello che dici. E a lungo anche per me è stato così, anche se un dialetto (molto italianizzato) lo parlo correntemente. Ma nella scrittura era lingua di terza mano, retorica e buffa, la lingua della servetta, la lingua vergognosa, la lingua della commedia facile, della bocca buona, di un teatro stereotipato o fin troppo personalizzato e teatrato.

    Piano piano mi si son sciolte le parole, qualcuna, forse più nello scoprire quanto abbia portato la “nostra” lingua all’italiano che nell’intento opposto. E’ un’operazione di ibridazione che sto facendo con grande cautela, e vedrai poi come la legge Maiko…quel che dice Irazoqui sopra ci salverà, le nostre parole diventeranno degne e migliori.

  9. Sitta, muè

    tasgi

    nel dialetto paterno (ligure)

    Zitta, more

    tosgia

    nel dialetto materno (piemontese)

    grazie silvia, che mi fai pensare

    irazoqui

  10. Solendida, sì. Un riconoscimento alle (delle) proprie radici, in cerca di una lingua (una delle tante possibili, se penso ai tantissimi ceppi dialettali di cui è ricco il nostro Paese) in grado di attivare il circolo ventre-testa di chi scrive come di chi legge. Un tentativo, il tuo, in questo caso pienamente riuscito.

  11. Che bella sorpresa sentire Maiko! Una vocalità interessantissima e, trovo, adattissima alla lettura poetica.

    Me ne vado, invero, cianciallegra -rallegrandomene- assai: un’altra da tenere a tiro d’orecchio.

    E il testo, Silvia, una musicalità insidiosa e ansimante. Sì, splendido.

    :)

    baci a entrambe.

    Rr

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