La pena , la vergogna ed il risentimento volteggiavano torno torno il capino della Misera.
Neanche di prima qualità. Intanto ci voleva uno strascico d’odio, e non l’aveva, poi quel filo di vanità garibaldina a rubino solitario incastonato in oro.
A sentirli parlaricchiare, loro,  sembravano contenti. La pena contava i morti , se li infilava come perline e pronunciava spasimi. Un lavoro orrendo ma la sosteneva.
Eppoi la pena soleva nutrirsi dei questi cadaveri, per cui piangi piangi ma ma s’ingrassa. E aveva un suo modo obliquo di stravedere per una vittima a caso, cingendole la vita e mormorare all’orecchio le parole consone, una pena così, ma una pena così, appena…negava, ecco, ogni possibile esistenza d’altro e s’infossava nella penombra greve dei suoi capovolti, dei suoi sfigati e delle sue puttane.
Per le puttane aveva uno speciale mantra, il loro sordido destino le scintillava in parole proprie e copriva di lacrime la tazza; l’umiliazione ripetuta, il sacco a vento. L’imene sparpagliato e le fracassate sante. Lo svolgimento preciso della consegna del corpo. L’occhio dell’altro che stipula. Paga. Si gode lo spettacolo. E che fossero donne.

Che fossero donne le pareva basale. A chi manca. La voce, la forza, la direzione e la punta. Nell’inventarsi il limite dell’onorata create tutte le storpie. E a far gazzarra con l’indice tutto il creato in coro: la puttana monetizza. La pena non ne può più. Si rivolge ai bambini affrontati. Cerca fragilità ed innocenza intaccata. Allunga lo sguardo dove può e dove può è dove vuole e dove vuole è dove spacca e dove spacca è dove ha desiderato e dove ha desiderato è dove era sporca e dove era sporca è dove era pulita e dove era pulita è dove forse iniziava un altro.
Ma dove era un altro lei non c’era, piangi pena, piangi dove l’hai mancato, dove s’è formato un punto impellente e stracco e dove s’è congiunta la pelle all’odio, nella doccia, nel foglietto, nel tronco sodo di maggiociondolo scarico. Piangi pena del poco, del niente, dell’insufficente, piangi della conformazione biforcuta e dell’asilo che non abbiamo avuto. Almeno. La tua, lacrima, scende a magnificare l’ostrichetta, lasceranno soldini.

La vergogna, a questo punto, non osava. Fino in piazza spinta e sotto il grande occhio incandescente pendeva dalle labbra enormi dello sguardo di una mostressa. Non sembrava possibile andarsene da lì.
Lì che era mondo e lì che era peccato, ma più che peccato era esposto. Nulla dico che proteggesse, nulla che strutturasse paratie. Tempietti. Recinti, caravanserragli, capannine, dico!
Era tutto aperto, stanze senza porta e verità scintillanti. Sporcume a te, pan degli angeli, ascolta amplificati i borborigmi nodosi della merda che scende, dimmi quanto vale. Era tutto aperto, una ricerca estenuante del nodulo sé, parla, parla, dicci tutto, ti vogliamo vedere intero e interno, scannato, ogni molecolina di base, non toglierci la materia pulsante di te che ti fai e ti sciogli, amore centro preciso proprio lì.

Al risentimento mancava materiale, per cui di lui non scriveremo, sappiamo solo che volteggiava contento torno torno alla Misera. Sperticato.

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