Dicevamo del dolore.

Il dolore per me è un gruppo di donne. Sei, sette.

Il dolore per me è sentirle vociare.

Assemblate in nome di dio solo sa che inventarsi gerarchie fantasmatiche.

Assiepate per oscuri motivi fare sacrifici rituali con la loro parte davanti, deridersi con quella di dietro. Assiepate losche sorridere al maschio di turno nella costruzione del loro altare.

Odio sentirle parlare di vestiti quando dentro ci sono anch’io. Regalarseli. Commentare a bassa voce i matrimoni e le figliolanze che si succedono quando dentro ci sono anch’io. Adornarsi di cacchina.

E il dolore per me passa da questa sudditanza gruppale dov’è ambita un’eleganza formale, possa essere anche un’eleganza di pensiero; assomigliarsi sessuate e tutte riproducenti, o invidiose di questo. Odio e soffro, dio offro un mondo come questo a crocefiggerti, ne sarebbero capaci le squinzie, veditele programmarsi un double face che funzioni, mantenere la calma ad arte e piangere quando si deve.

Capire bene com’è giusto essere, dove vale provare tal sentimento, sicure della parte addetta alla dirittura morale e farlo bene, sottoponendosi, ascoltando, amando (lo chiamano amare) anche l’ultimo degli sfigati, sfigati veri, che si veda che lo sono, mica te, mica loro, figate dentro.

Un dolore è odiare queste donne, e averle amate una per una. A sé stante. Singolarmente. Gli occhi tiepidi di parma in tarantola leggera, soprattutto loro, e la risata cilena nel culmine della notte, ed il fare rossastro della figlia dell’ otorino , e l’intrecciare braccialetti della figlia di fiore, e la presenza timida dell’altissima veneta e le tette ingombranti della giovane regina e vederle gravarsi del peso di un’immagine pubblica risuonante cupidigia e teatro, poi parlare ancora con me e dirmi che quello è il mondo vero. Assieme, unite nella chiacchiera e nel presenzialismo, agghindate di visioni di potere, povere di sé, ricche di insignificanza, maldestre donnette in pianta stabile a ricamare con codici prescritti le anime della gente.

Sarte chiassose, io piango sul vostro simulacro, sul mio.

(Gli occhi tiepidi di parma in tarantola leggera, soprattutto loro, e la risata cilena nel culmine della notte, ed il fare rossastro della figlia dell’ otorino , e l’intrecciare braccialetti della figlia di fiore, e la presenza timida dell’altissima veneta e le tette ingombranti della giovane regina).