Agosto shutta via come uno sbrano
parte a palla rimorde concàvo e
agosto pena nato mi s’torce
non l’amo, non
l’amo
tirapiedi le ha prese con sè
le smorfiette bambine, agosto
sublime spezzato e munto

si spacca che ha un giunto sulle presine
si contratta stabilendo le possibili fini
s’involucra e contrae risulte pese state
infatti era estate, si nasce così
pilloli, smaestrati
con tanta volontà di forza spotica
ed invece è una fame:
l’io s’inchina a superbi scempi
e quel che gli resta, finestrada
(che è un molare di vento)
spanna, digrada. Non si è mai vista
tanta profusione di conigli e
si vorrebbe inventare qualcosa
sul pergolato delle metafore marcite.
Io, così, gli chiedo d’uscire.

Gli dico: " dove l’hai messo, e nascosto, dove
so che filava bene, dov’era di cuccia
cosa guardava per prendere il colore, so
come si chiama, come si schiava, socome
e seppellito, l’hai seppellito, giù "
e parlo troppo. E non si parla più.