Se devo pensare in cosa si trasforma lei, di solito lei si trasforma in due cose. Diventa distaccata, divina. Si taglia i capelli, si dipinge occhi e bocca, fuma sigarette nervose infilate tra dita inanellate. E’ la donna del secolo, quella sposata al successo, ha una posizione stabile e qualcuno che la ama e che l’ ha saputa tenere. Non la fanno più sorridere, non sorride più, poco, e ha un tarlo che la buca, la tritura dentro, perchè c’è un dentro, ma fuori la scorza la contiene, bene.

Oppure rimane la luna degli alberi che germogliano ma affila coltelli per ogni stella apparita. Pratica assoluzioni per ogni notte successa ma non si uccide, non si mutila. E fuori prende peso con il grasso che le si modella sui glutei, sui fianchi, interno-esterno coscia, sulla pancia, sulle braccia, sul seno.Si riga di rughe e la pelle flaccida per figlio nato e i capelli bianchi, per ora. Rimane così, che di questo è fatta e di questo muore, una donna slabbrata. L’avete conosciuta tutti, l’ hai conosciuta tu che leggi i libri premiati, l’ hanno chiamata Frida o Maria ed era cosparsa di rose e nascosta in cucina ma la cucina brillava di lei. Partoriva gli uomini migliori, le donne più senzienti. Poi aveva come un ripiegamento, ma nessuno lo ha scritto e perché scriverlo ora?

Ma lei si trasforma in almeno tre cose. I conti non tornano, e quelle cose inelencate sono tutte presenti all’orizzonte del mondo vero. Rendere conto è sminuire, lei si trasforma, questo so, e resta uguale, la stessa, in sé finita perchè attesa, l’amore candido del deserto bianco e quello buio del groviglio umido. Avevo pochi anni e mi inventavo la Klein, perché dovremmo parlare di plagio?, e adesso mi capita di sedere sul primo gradino della scala a palladiana, tra le fragole e il nespolo, e mi capita di pensare alla dietrologia dei numeri e degli schemi. Lo faccio perché queste trasformazioni mi interessano, forse mi interessano anche queste donne. La fissità di quello che viene considerato normale, quella sua fissità, il farne ricorso strenuamente, affermarla, negarla, sapete bene che non si tratta di statistica, che quella arriva solo dopo, il cane, il topo, la foglia, il bambino, perché così certamente così?

L’anima del fenomeno sovrasta la sua codifica. Vedere il vissutismo come romanticheria spicciola è utile ma pericoloso, e finisce pure di essere utile da un certo punto in poi. C’è, ed è il preciso punto in cui la minuteria dell’analisi cozza contro una specie di indivisibilità, Zenone per amore di Parmenide ce l’ ha detto chiaro, non esiste movimento, non esiste pluralità, tutto è una sola cosa e solo quella, siamo costretti ad ammettere questo se non cambiamo punto di vista. Un grande salto. Un burrone. Una risposta al continuo ritorno di pressoché ogni cosa, una risposta semplice, si, no.

(descrivi un paesaggio culturale)

Una piazza carga, di radio attorniati, più distanti ante salme e nani, sulla destra parte quella nostra orda, quella sentiva slargo, che poi di venti instradati, sradicati, di sassata , dal fondaco disomogeneo, in alter anzi digos si riguardi, sono andati, ormai senza diritto.

Quel Lacoste, oggi sorella parte di leva ente dell’isolamento, e qui sta, una cassetta, un fungo, l’ ho circondato da vaudeville violette e fuck sia ed eran ciondoloni, sol bel ratio e le soglie vecchie dive stese sulla scaletta di Manzù, poi fagocitaste miglio. Sul lavandino la dis, testa carina edda Burri piume dulac qua! Discinta fante celere ‘sta buzzurra emaciata , è vera, dichiari stima, pivella Ade della roba freme, vi si era distesa piena, ferma e so Lolli veemente mostoso, Rifle stento e paci, fica, guizza in te che pila, Cia, eque statali piaggerie biacca di stabbia Fini, esimia, ha conciato magliette a Eco, ragli poveri aizzati, ruspe, ossa, forca, tu spuria botto Leone demorde bidet reflusso ergo.

Le grandi anche, eletti si sposano a latere lappano in prova fissa mente d’ altana, priva te essi, i rigagnoli, negra nel madre.

Quesito per polli. Di pareri vedrai l’ avvento. Stubi toi ingrosso, spariran la Saab Biarritz e il rame, ti si bianca, ti dala salsa ginepra, Heathrow (chi?) elfo lieder ami, su le Roc Cesla Lambrate in sestanti abortire, ella abbaia, otto lecca in panne, Hutu gli uscì. Agni, chiosa mobile girerai ‘n tonno, fruscii, din!, uccidi tocco, pin!, uccidi giovani versa ossicini, mogli straccate, carica casse, legge re, sacche tredici di plasma rimaste qua a Riga tosse Ebola, anche, pim!, bot, tagliette di Rom, ruote.

Tirerai, non ai capi, belin, alle donne, alle bare che dai, lanci querelle banca sig. Ombrosa Ulla pazza del mar gatto, irretita a la Spezia tura fossi e brucia ore, il fustino del napalm e li sgàma, chela rosa diamanti saltan fuori.

E’ vero ragù alla spiaggia. Vessa, e i conti, Nui abbatte re pum! martire esule Lasha nebbia esule figlia esule bara consolle dietro tulle esche nere, mine, Doll. Eur. "lepre di là!", "lepre di là!", per chi la mira la faranno fuori fusti a etti, nozze e sbotti e seco accoppa, rari conte ori, editto battute prede esposto, eccidi.

Salverà. Sole mondo pic! coli fuori dolce l’olio Lindo edile, chi ha orrore del tondo abbaino ora fa smembrare, lutto fioco in Creta, solo iddo, d’urto, un alluce muove tetro, posso?, Lesbo oda Despar, paglia, un acciarino, sii tu il brillo dei cantanti bieco seri. Vile upper fai lesta, te.

Rima che taccia, cianotico té. Un acquisto soprano, né Sun Rumor nè fiacre, urge chi ricerca lontano e coglie grucce ali Belzebù violenza oziante mulo rade il tram, unto elmo vivente gravava vispo stadi, moscio desco di qua, levo nidi stinti nella latta cere, dica!, qua si rutta, con Si che vede, ora diventi raso, l’ henné e un glande, a iosa. Parche Fedra (sornione) Deli equa torre e Lega imbelle frac sciala, cinta mura l’Argent & co.

Sara cosine ti do , non posta lenta, lastre malate in mano, cos’ hai, micina abbi lanterne che temo strega Rà in festa, Dove non l’ave dispensato.

Matto armerà ma tu inodore pene, tirante del leale, pizzo e core della cornamusica spera, ja, fallica apertura, tatto, gallina quasi siora.