Iniquo. Non starò a spiegartelo. C’è un sogno, la notte, che continua a ritornare. E’ la ripetizione di un gesto. Questo gesto continua a ritornarmi. Vedi che un poco fa così: c’è uno spazio tra me e l’altro, uno spazio semisacro, appena possibile, scarno. Lì è fattibile l’incontro, ma quell’incontro è fatto di substrato osservante, che c’è uno sguardo, che c’è un’apertura d’occhio, che c’è un vedere. (dicevo qualcosa sul vedere, dicevo che l’abito la stoffa, il modo creano situazioni immanenti, immature ed immutate, lo dicevo con altre parole ma questo supporto inconsistente non trattiene nulla se non vengono fatte le precise operazioni da lui previste.)

Chi guarda chi? I due si guardano. Chi vuole chi? I due si vogliono. No. Mi si vuole. Novoglioio. (qui si precisava la pochezza del volere, si era certe dell’ illusorietà e del lasciar che faccia, si era certe della faccia a grimaldello di quanti vogliono insinuarsi e si criticavano con merito momentaneamente illuminato i cardini scricchievoli delle masturbevoli storie d’amore.)

Ma temo che non siano soli, nel sogno non sono soli. Hanno con sé un’aura altrui. Questa li circonda e li rende desiderabili, moltiplica gli affetti e gli affanni, gravida il respiro, circonfonde le visioni. Riuscire ad allontanarsi dall’altro vero che importa e proiettarsi nello spazio esiguo dove si verrà rapiti. Ratti. Sabine. Naiadi. Danaidi (supplici). Odissea. Ma vaffanculo i greci, cosa me ne verrà mai in tasca?

Appunto, vaffanculo i greci, mi sento nuova tutta.

Adesso è ora e ora , nel sogno, so che c’è quello spazio, esiguo, dove si gioca un allontanamento tradente e nel movimento di quel tradimento un boccio d’amore. (importante l’ex precisazione che questa non è la vera storia di un tradimento, a lungo dissertavasi di tempo e spazio invocando il moto rettilineo uniforme, per aver capito da qualche parte che il tempo non è quello passato, insomma, non solo, ecco, e che può andare altrove e diventare un tempo-idea e quindi scopare con lo spazio a modo frazionato, si, ricordo, venivano invocate declinazioni e modi, per il piccolo tempo verbale, che poi c’è solo lui a volercelo dire.)

Prima era amore? E dopo, dopo è sicuramente gesto estatico. Vicino alla bocca, guardare la bocca, abboccare? A lungo tentennare nel corpo porto, nel corpo proposto, nella tensione dei mille muscoli del viso, voglio un viso, una faccia, una davanti, di un ragazzo bruno, i capelli corti, gli occhi lucenti, un’espressione mobile, viva, disincantata, eternamente giocosa.

Questa descrizione è importante? Valgono le descrizioni delle cose? Wittgenstein, uomo che pensa e di grande simpatia, forse uno dei pochi ad aver messo davvero in pratica l’amenità di Picabia "la testa è rotonda affinchè il nostro pensiero possa cambiare direzione", bè Wittgenstein dice di si, che valgono. Ogni spiegazione deve cessare e la descrizione deve subentrare. Ma siamo lontani, signor matematico, loin dal saper descrivere bene qualcosa, foss’anche un posacenere, è molto più semplice avere delle opinioni, tutti hanno opinioni a mo’ di pennellate che gli faranno pittare il mondo a loro immaginetta, io ho molte opinioni op op, e il viso e la presenza del ragazzo mi servono per farne una teoria.

Posso una teoria. La descrizione del viso è una teoria. La pratica è una teoria. Io che guardo mi divento. La sola possibile teoria descrittiva di quel solo momento, un gioco dalle regole continuamente cambievoli, l’integrazione di derivate nell’area della curva delimitata da

che il gioco che facciamo non lo conosco bene, no, ha una sua esilità, un suo disequilibrio, una fretta e una misconoscenza e un’onnipotenza gracile di adolescenze mai concluse, è l’antimaturo il ragazzo che mi bacia, infine, mi bacia e quel bacio è tutto.

(Dire che una cosa è tutto è contraddirla, d’accordo? Siamo d’accordo? Dire che una cosa è tutto è escludere il mondo che la farà diventare qualcosa. Chi è quel cane che cancella le mie riflessioni precedenti? Chi è quel cane che gioca a sterminare il significato della mia povera immane immensa voglia di rendere concreto questo fondamento di pensiero?)

Tutto è lì, nell’incontro finissimo e morbido e morboso, nell’incontro scintillante, nell’incontro brumoso e vietato, impossibile, nell’incontro impossibile, quel nostro corpo che diventa fantasma, fantasia, polvere, idea, ecco perché poi mi viene da piangere.

Signori, per due, vi chiedo di compatirmi, me medesima, il mio sciagurato computer.