Infatti ne parlarono a lungo. Schietta sottile hai visto l’idea insinuarsi tra le parole che scattavano.

Aveva un gonnellino a righe sulle gambe nude bianche scarpe con la cinghietta e saltellava col cane sulle scale. Parlava come fanno le bambine con la voce piccola assecondante con quell’inclinazione in battere che si sostiene appena alla fine a convincere a rabbonire

l’idea:  quello che pensano gli adulti sui bambini e sui topi è falso. A loro servono piccoli. Sono mai entrati nelle loro parvenze esistenziali. I pediatri, dici? I pedagoghi? Qualche topofilo del cnr? Embrioni congelati, credimi.

Poi prende un giro largo e fa due conti: adesso l’idea calcola: certe cose non si possono dire. (Pasolini "ma mi censurerei da solo, certo, non possono essere recepite, non ci sono gli strumenti per farlo!")

gli strumenti (ad alta voce): "tutti questi tanti filosofi per arrivare sin qua. Dove il mondo disattende e le piattaforme tengono. E vogliamo invece fare un’apologia del topo clonato, entrare nei suoi occhietti traballanti quando non ha paura perché gli han tolto il gene, aggiunto lo squalo, spostato l’aorta o spiaccicato l’ipotalamo."

Mentre trecento milioni possono essere benevolmente spostati dalla Recherche alle ali d’italia, questo si senza plissé. Rivoglio il mio topo. Urla. E’ il lattante di Riondino quando pensa "o dio il papa". Urla quel pensiero poche cose svelte. Voglio parlare del topo. Logica ferrea. Grandamore.

Che non è detto che il nostro compromesso ansimante debba avere per forza una forma sola. E che cristo finirò anch’io per non riuscire a scrivere più nemmeno una pagina.

Ulrich

L’uomo senza qualità di cui stiamo narrando la storia si chiamava Ulrich; e Ulrich – non è piacevole chiamare col nome di battesimo una persona che si conosce appena, ma dobbiamo tacere il casato per riguardo al padre – al limite fra infanzia e adolescenza aveva già dato un primo saggio della sua mentalità in un componimento che aveva per tema una frase patriottica. In Austria il patriottismo era una materia tutta speciale.  I bambini tedeschi imparavano semplicemente a disprezzare le guerre dei bambini austriaci, e s’insegnava loro che i bambini francesi sono i pronipoti di libertini smidollati e scappano come lepri appena vedono un soldato tedesco della territoriale che sia fornito di una gran barba. E scambiando le parti , con qualche opportuno mutamento, s’insegnavano le stesse cose ai bambini francesi, russi e inglesi, che si gloriavano anch’essi di numerose vittorie. Ora si sa che i bambini sono fanfaroni, amano giocare a guardie e ladri, e son sempre pronti, ove per avventura ne faccian parte, a considerare la famiglia X che sta in via Y come la più importante del mondo. Perciò è molto facile inculcare loro il patriottismo. In Austria però la faccenda era un po’ più intricata. Gli austriaci infatti avevano vinto, è vero, tutte le guerre della loro storia, ma dopo queste guerre avevano dovuto quasi sempre cedere dei territori. Ciò induce a riflettere, e Ulrich scrisse nel componimento sull’amor di patria che un vero patriota non deve mai giudicare la sua patria la migliore di tutte; anzi, balenandogli un’idea che gli era parsa particolarmente bella, quantunque fosse piuttosto abbagliato dal suo scintillio che consapevole del suo contenuto, aveva aggiunto a quella frase sospetta quest’altra: che probabilmente anche Dio preferisce parlare del mondo da lui creato servendosi del congiuntivo potenziale (hic dixerit quispiam…) perché Dio fa il mondo e intanto pensa che potrebbe benissimo farlo diverso. Di questa frase era molto orgoglioso, ma forse non s’era espresso con sufficiente chiarezza, perché ne era nato un putiferio e per poco non l’avevano espulso dalla scuola, anche se poi non avevano preso alcun provvedimento non sapendo decidere se quell’affermazione temeraria fosse da considerarsi un’offesa alla patria oppure a Dio. Ulrich frequentava allora l’aristocratica Accademia Teresiana che forniva le più nobili colonne dello stato, e il padre, irritato per l’onta arrecatagli da quel figlio degenere, lo aveva mandato all’estero, in un piccolo collegio belga che si trovava in una città sconosciuta, e, amministrato con sagace spirito commerciale, attirava mediante le rette bassissime una vasta rete di scolari usciti dalla buona strada.

Da allora come le nuvole trascorrono in cielo erano passati sedici o diciassette anni. Ulrich non li rimpiangeva né se ne inorgogliva, semplicemente li riguardava con stupore, nel suo trentaduesimo anno d’età. Nel frattempo era stato in molti luoghi, qualche volta anche in patria, e dappertutto aveva fatto cose utili e cose inutili. S’è già accennato che era un metematico, e non occorre dirne di più perché in ogni professione esercitata non per lucro ma per amore giunge un momento in cui la curva ascendente degli anni sembra condurre al nulla. Questo momento durava da un poco quando Ulrich si ricordò che al paese natio viene attribuito il misterioso potere di far prendere radici al pensiero e di armonizzarlo con l’ambiente; vi si stabilì dunque provando le stesse impressioni di un viandante che si segga su una panca per l’eternità pur presentendo che si alzerà quasi subito.
E quando mise in ordine la sua casa, come dice la Bibbia, fece un’esperienza che in verità s’aspettava. Egli si trovava nella piacevole situazione di dover rimettere in sesto ab ovo a suo talento il piccolo edificio in rovina che aveva acquistato. Dalla ricostruzione fedele fino alla libertà assoluta si offrivano alla sua scelta tutte le soluzioni, e alla sua mente si proponevano. tutti gli stili, dall’assiro al cubista. Che cosa decidere? L’uomo moderno viene al mondo in una clinica e muore in una clinica: per conseguenza deve anche abitare in una clinica! Questo era l’assioma di un architetto di grido, e un altro riformatore dell’ambientazione esigeva che nelle case vi fossero pareti mobili, per il motivo che l’uomo dalla vita in comune deve imparare la fiducia nell’uomo, e non gli è lecito isolarsi con spirito separatistico. Era incominciata proprio allora una nuova èra (ne comincia una ad ogni minuto) e un’èra nuova ha bisogno di uno stile nuovo. Per fortuna di Ulich il castelletto, così com’era, aveva già tre stili sovrapposti, cosìcché non si poteva davvero farne tutto quello che la moda voleva; nondimeno egli era assai turbato dalla responsabilità di costruirsi una casa, e si sentiva pender sul capo la minacciosa massima letta sovente nelle riviste d’arte: " dimmi come abiti e ti dirò chi sei ". Dopo aver lungamente consultato quelle riviste venne alla conclusione che la costruzione della propria personalità era meglio intraprenderla da solo e si mise a disegnare di sua mano i futuri mobili. Ma appena ideata una linea corposa e d’effetto, gli veniva in mente che si sarebbe potuto sostituirla benissimo con una linea funzionale e smilza; e incominciando ad abbozzare una forma in stile cemento armato scarnita dal suo stesso vigore, pensava alle magre forme marzoline di una fanciulla tredicenne e si metteva a sognare invece di decidersi.

Era questa – in un campo che non gli stava seriamente a cuore – la ben nota discontinuità delle idee con il loro pullulare senza un nucleo centrale, incoerenza che contraddistingue il nostro tempo e ne determina la bizzarra aritmetica, la quale salta di palo in frasca senza unità. Alla fine non immaginava più che locali irrealizzabili, stanze girevoli, arredamenti caleidoscopici, congegni per la trasposizione dell’anima, e le sue idee divennero sempre più vuote di contenuto. Così giunse infine al punto verso il quale si sentiva attratto. Suo padre l’avrebbe espresso all’incirca così: “Se si lascia che uno faccia tutto quel che vuole, dalla confusione finirà per dar del capo nei muri”. Oppure: “Chi può concedersi tutto ciò che gli piace, presto non saprà più che cosa desiderare”.  Quell’antica saggezza tramandata gli sembrava un pensiero straordinariamente nuovo. Nelle sue possibilità, progetti e sentimenti, l’uomo dev’essere prima costretto da pregiudizi, tradizioni e ostacoli di ogni sorta, come un pazzo nella camicia di forza, e solo allora quel che produce acquista valore, solidità e durevolezza…in verità è quasi impossibile misurare tutta la portata di questo pensiero! Ebbene, l’uomo senza qualità dopo esser ritornato in patria fece anche il secondo passo per lasciarsi foggiare dal di fuori, dalle circostanze esterne: a questo punto delle sue riflessioni abbandonò senz’altro l’arredamento della sua casa al talento dei fornitori, fermamente convinto che alle tradizioni, ai pregiudizi e ai limiti avrebbero provveduto loro. Per conto suo si accontentò di rinfrescare i vecchi motivi che c’eran già da prima, gli scuri palchi di cervi sotto le volte bianche del piccolo atrio o il rigido soffitto del salotto, e inoltre aggiunse tutto quel che gli pareva comodo o rispondente a uno scopo.

Quando tutto fu pronto, poté scrollare il capo e chiedersi: questa dunque è la vita che dovrà esser la mia? Era ormai in possesso di un piccolo delizioso palazzo; non si poteva quasi chiamarlo altrimenti perché corrispondeva esattamente all’idea che la parola suggerisce: la residenza lussuosa di un personaggio ufficiale, come l’avevano concepita i mobilieri, i tappezzieri, i decoratori più in voga. Peccato che a quel bellissimo meccanismo d’orologeria mancasse la carica; perché allora si sarebbero vedute salire su per la rampa carrozza con alti dignitari e nobili dame, i lacchè sarebbero saltati giù dalle predelle e avrebbero chiesto a Ulrich con diffidenza : " Buon uomo, dov’è il vostro padrone?"

Ulrich era tornato dalla luna e immediatamente si era ristabilito sulla luna.

Robert Musil, L’uomo senza qualità (1930), Einaudi 1957. Capitolo 5,  pp.14-17

Le fatiche del generale Stumm per mettere un po’ d’ordine nei cervelli borghesi

Solo allora Ulrich s’accorse che Stumm von Bordwehr s’era portato dietro una borsa d’ufficio, e l’aveva appoggiata ai piedi della scrivania; era uno di quei grandi zaini di vitello, che si possono portare sulle spalle mediante solide corregge, e servono a trasportare documenti da un ufficio all’altro nei vasti edifici ministeriali, o anche fuori. Evidentemente il generale era venuto con un attendente che aspettava sotto e che Ulrich non aveva veduto, perché solo con fatica si tirò sulle ginocchia la pesante borsa e fece scattare la piccola serratura d’acciaio che aveva tutta l’aria di un ordigno di guerra. – Non son rimasto in ozio, da quando assisto alle vostre riunioni, – sorrise, mentre la sua giubba celeste si tendeva, nella posizione curva, intorno ai bottoni dorati, – ma sai, ci son cose di cui non vengo a capo -. Tirò fuori dalla borsa un gran fascio di fogli sciolti, coperti di strani segni. – Tua cugina, – egli spiegò, – ho avuto con lei un colloquio esauriente, ella vorrebbe, giustamente, che dai suoi sforzi per elevare al nostro Eccelso Sovrano un monumento spirituale emergesse un’idea che fosse, come dire, la più alta, che occupasse il primo posto fra tutte le idee del giorno d’oggi; io però ho osservato, pur ammirando le personalità da lei invitate, che la cosa presenta infernali difficoltà. Se uno dice una cosa, l’altro afferma il contrario – l’hai notato anche tu? – ma c’è di peggio, secondo me; lo spirito borghese mi sembra proprio ciò che noi diciamo di certi cavalli: un cattivo mangiatore. Ti ricordi? Son bestie che non vogliono saperne di ingrassare, nemmeno con doppia razione di foraggio! Oppure diciamo, – si corresse a una lieve protesta del padrone di casa, – sì, diciamo pure che ingrassano, ma le ossa non crescono e la pelle rimane opaca; gli viene soltanto un pancione pieno d’erba. Ecco, vedi, la cosa mi interessa e vorrei approfondire la questione, come mai non si possa regolare la faccenda!

Stumm, sorridendo, porse al suo ex tenente il primo dei fogli. – Si dica pure tutto ciò che si vuole, – dichiarò, – ma di ordine noi militari ce ne intendiamo. Ecco, qui ho consegnato le idee principali esposte dai partecipanti alle riunioni di tua cugina. Vedi, se gli parli a quattr’occhi ciascuno ritiene essenziale una cosa diversa -. Urich esaminò il foglio con stupefazione. Era diviso in quadrati mediante linee orizzontali e verticali, come un foglio d’anagrafe o un registro militare, e nei quadrati c’erano parole che contrastavano parecchio con quella suddivisione, infatti egli lesse in bei caratteri burocratici i nomi: Gesù Cristo; Budda Gotama, e anche Siddarta; Lao-Tse; Lutero Martino; Goethe Volfango; Ganghofer Ludovico; Chamberlain, e molti altri, che evidentemente continuavano su un altro foglio; poi nella seconda casella le parole cristianesimo, imperialismo, secolo delle comunicazioni, eccetera, e accanto v’erano altre colonne di parole in altre caselle.
 
– Potrei anche chiamarlo il foglio catastale della cultura moderna, – illustrò il generale, – perché poi l’abbiamo ampliato, e ora contiene il nome delle idee, e dei loro agitatori, dell’ultimo venticinquennio. Non immaginavo che costasse tanta fatica! Poiché Ulrich voleva sapere come era stato compilato l’elenco, gli spiegò volentieri il procedimento da lui ideato. – Mi ci son voluti un capitano, due tenenti e cinque sottufficiali per fare così presto. Se avessimo potuto usare un sistema del tutto moderno, avremmo mandato a ogni reggimento la domanda: "Chi considerate il più grande uomo dei nostri tempi?" come fanno oggi i giornali e simili, sai, insieme con l’ordine di comunicare il risultato della votazione con le percentuali; ma nel mondo militare, la cosa non andava, perché naturalmente nessun corpo dell’esercito può rispondere altro che: Sua Maestà. Allora avevo pensato di far chiedere quali sono i libri più letti e con le più alte tirature, ma s’è visto subito che, oltre alla Bibbia, sono i libriccini di capodanno con le tariffe postali e le vecchie barzellette, distribuite a tutti, dai portalettere che vanno a far gli auguri e a riscuoter la mancia; e questo ci ha fatto di nuovo riflettere com’è difficile lo spirito borghese, perché in generale son ritenuti migliori quei libri che si adattano a ogni lettore, o almeno, mi hanno detto, bisogna che un autore in Germania abbia molti che la pensano come lui per esser considerato un grande ingegno. Dunque, anche questa via non era possibile; e come abbiamo finito per fare non te lo posso dire sul momento, è stata un’idea del caporale Hirsch insieme col tenente Melichar, ma ci siamo riusciti.
 
Il generale Stumm posò il foglio e con un viso che annunziava una grave delusione ne prese un altro. Fatto l’inventario delle scorte di idee esistenti nell’Europa Centrale, aveva non solo stabilito con rincrescimento che eran costituite da contraddizioni, ma anche scoperto con stupore che quelle contraddizioni incominciavano a confondersi l’una nell’altra. – Che tutte le celebrità in casa di tua cugina mi rispondessero cose opposte quando la pregavo di ammaestrarmi, passi, c’ero già abituato; ma che dopo aver parlato lungamente con loro mi sembri che dicano tuttavia le stesse cose, ecco, non riesco proprio a intenderlo, e forse la colpa sarà del mio comprendonio d’ordinanza, che non ci arriva! – Ciò che sgomentava in tal modo il cervello del generale Stumm non era una bagattella, e in fondo non la si sarebbe dovuta attribuire soltanto al Ministero della Guerra, benché si potesse dimostrare che con la guerra intratteneva ottimi rapporti. Sono state donate a questo nostro secolo grandi idee in quantità, e per uno speciale favore della sorte ogni idea ha pure la sua contro-idea, di modo che individualismo e collettivismo, nazionalismo e internazionalismo, socialismo e capitalismo, imperialismo e pacifismo, razionalismo e superstizione vi si trovano tutti ugualmente bene come a casa loro; e per giunta ci sono anche i resti non ancora consumati di innumerevoli altre contraddizioni di uguale o minore valore attuale. La cosa sembra così naturale come il fatto che vi siano il giorno e la notte, il caldo e il freddo, l’amore e l’odio, e che nel corpo umano ogni muscolo flessore abbia il suo contrario in un muscolo estensore, né il generale Stumm, come chiunque altro, si sarebbe mai sognato di vederci nulla di straordinario, se l’amore per Diotima stimolando la sua ambizione non l’avesse precipitato in quell’avventura. L’amore infatti non s’accontenta che l’unità della natura riposi sui contrasti, ma, incline com’è alla soavità, alla delicatezza, vorrebbe un’unità senza opposizioni, e così il generale s’era sforzato in tutti i modi di ottenere tale unità. – Ho fatto fare – raccontò a Ulrich, mostrandogli il foglio relativo, – un elenco dei condottieri delle idee, vale a dire che contiene tutti i nomi di coloro che negli ultimi tempi hanno guidato alla vittoria notevoli contingenti di idee; quest’altro qui è un ordine di battaglia; questo un piano dello schieramento strategico; questo un tentativo di identificare i depositi e gli arsenali donde si effettua il rifornimento delle idee. Ma se tu osservi uno dei gruppi di idee impegnati in combattimento, vedi subito – e ho voluto che risultasse ben chiaro dal disegno, – che esso attinge i suoi rinforzi di truppe e di materiale ideologico non soltanto dal proprio deposito ma anche da quello dell’avversario; vedi che cambia continuamente di fronte e senza nessun motivo, combatte tutt’a un tratto col fronte rovesciato, contro le proprie posizioni; ma vedi altresì che le idee disertano tutti i momenti, di qua e di là, sicché le trovi ora in questa ora nell’opposta linea di battaglia. Insomma, non si può stabilire né un regolare piano di dislocamento, né una linea di confine, né niente, e il tutto è, parlando con rispetto, – eppure d’altra parte non lo posso credere! – quello che da noi ogni superiore chiamerebbe un branco di porci impazziti! – Stumm cacciò in mano a Ulrich una dozzina di fogli in una volta. Eran coperti di direttive di marcia, linee ferroviarie, reti stradali, calcoli di portata, contrassegni di corpi, dislocamenti di truppe, circoli, quadrati, zone tratteggiate; il tutto come in un regolamentare rapporto di stato maggiore, intersecato da linee rosse verdi azzurre e gialle e disseminato di bandierine dei più vari tipi e significati, quelle che un anno più tardi sarebbero diventate così popolari. – Ma non serve a niente! – sospirò Stumm. – Ho cambiato modo e provato ad affrontare il problema dal punto di vista della geografia militare invece che da quello della strategia, sperando di ottenere almeno un campo d’operazioni ben articolato, ma non c’è verso! Ecco qui le descrizioni orografiche e idrografiche! – Ulrich vide segnate sulla carta vette di montagna da cui partivano diramazioni che più in là si riammassavano, sorgenti, reti fluviali e laghi. Negli occhi vivaci del generale scintillava qualcosa come irritazione o esasperazione. – Ho tentato in cento modi, – egli disse, – di riportare il tutto a un’unità; ma sai com’è? Come viaggiare in seconda classe in Galizia e prendersi i pidocchi! E’ la più schifosa sensazione d’impotenza che si possa immaginare. Quando sei stato un pezzo in mezzo alle idee, ti prude tutto quanto il corpo e non hai pace se non ti gratti a sangue!
 
Il più giovane non poté trattenersi dal ridere di quell’energica descrizione. Ma il generale pregò: – No, non ridere! Io ho pensato che tu sei divenuto un borghese eminente; nella tua posizione devi capire la questione, e devi capire anche me. Son venuto a chiederti aiuto. Ho troppa reverenza per tutto ciò che rappresenta lo spirito, e perciò non posso credere di aver ragione!
 
– Tu prendi troppo sul serio il pensiero, signor colonnello, lo consolò Ulrich. Involontariamente aveva detto "colonnello", e se ne scusò. – Mi hai così piacevolmente ricondotto al passato, signor generale, quando mi comandavi certe sere a filosofare in un cantuccio del circolo. Ma, ti ripeto, non bisogna prendere tanto sul serio lo spirito come tu stai facendo!
 
– Non bisogna, – gemette Stumm. – Ma io non posso più vivere senza una regola superiore nella mia testa! Non lo capisci? Io rabbrividisco se penso quanto tempo son vissuto senza di essa, sui campi di manovre e nelle caserme, fra barzellette militari e storie di donne!

Robert Musil, L’uomo senza qualità (1930), Einaudi 1957. Cap. 85, pp. 359-363