(descrivi un paesaggio naturale)

Uno spiazzo lungo, rado, ed attorno, più distanti, piante palme e banani, sulla destra parte quella strada, quel sentiero slargato che poi diventerà strada, sterrata, disassata, dal fondale disomogeneo, in alternanza di dossi e guadi, snodata, mai diritta.

Quella, a costeggiare la parte di levante dell’isola, e questa, una casetta, un bungalow circondato da buganvillee violette e fucsia ed arancione, col bel patio e le foglie secche distese sullo scheletro di bambù, poi agganciate meglio. Quella, la distesa marina ed azzurra più dell’acqua, scintillante celeste, azzurra e giada , e verde chiarissima, più verde dell’erba prima, vera distesa piana, ferma o solo lievemente mossa, riflettente e pacifica, guizzante che placa, e questa, la spiaggia bianca di sabbia finissima, a conchigliette e coralli polverizzati, spessa, fonda, più dura sotto le onde morbide in flusso largo.

I granchietti si spostano laterali, appaiono improvvisamente da tane private e si dirigono lì, nel grande mare.

Questo per un po’. Poi arriverà il vento. Subito grosso, sparerà la sabbia e i rametti sbiancati dalla salsedine tra i tronchi e le foglie dei rami, sulle rocce slabbrate insistenti ai bordi della baia, sotto le capanne, sugli usci. Ogni cosa mobile girerà in tondo, gusci di noci di cocco, noci giovani verdi, sassolini, foglie staccate, carcasse leggere, sacchetti di plastica a righe rosse e bianche, lime, bottigliette di rum, vuote.

Gireranno i capelli e le gonne, le barche a bilanciere, le bancarelle sgombre sulla piazza del mercato, i resti della spazzatura messi a bruciare, il fusto delle palme, le àmache, la roba dimenticata fuori.

E verrà giù la pioggia. Fissa e continua a battere sul mare e sulla sabbia e sulle foglie e sulle barche e sulle pietre e sulle schiene, regina delle urla "prendila", "prendila", perché si tireranno fuori fusti e tinozze e botti e secchi a cooperare con teorie di tubature predisposte, e ci si laverà. Sulle onde piccoli fori dal cielo livido ed il chiarore del fondo bianco farà sembrare tutto più concreto, solido, duro, una luce nuova che troppo sole snoda e sparpaglia, un acciaio, il più brillante dei bianco neri. Svilupperai l’estate.

Prima che faccia notte. Una quiete sovrana, nessun rumore acre, i gechi che cantano con gli uccelli del buio, le zanzare sull’ora del tramonto, il movimento grave a risposta di scroscio dell’acqua, le voci distinte nel tacere di quasi tutto, così che vedere diventerà solenne e grandioso. Perché vedrai Orione dell’ equatore , le gambe le braccia la cintura l’arco. Sarà così nitido, nonostante la stellata immane, così vicino e brillante che ti mostrerà l’est dove non l’avevi pensato.

Ma tornerà mattina, odore penetrante delle alghe, pizzicore dell’ancora, musica sparata, galli, dappertutto, galli, a qualsiasi ora.

"Ciò ch’era perduto era celeste

e l’anima malata, santa.

Il nulla era un vento che cambiava inspiegabilmente

direzione, ma ben consapevole, sempre, delle sue mete.

Nel nulla che si muoveva

ispirato in alto

capriccioso come un ruscello in basso

ciò che importava era sempre una storia

che in qualche modo era incominciata

e doveva continuare: la tua.

Chi mi aveva chiamato lì?

Ogni mattina ricominciava la tragedia dell’essere,

dietro i balconi prima chiusi e poi aperti, come in una Chiesa.

Che il vento divino soffiasse inutilmente

o solo per dei testimoni-

Poi le abitudini, queste sorelle della tragedia-

Il mare e il suo vento ebbero tutti i nostri sviscerati elogi-

Il tuo "esse est percipi" incontrava tremendi ostacoli

da superare, e ogni vittoria era una povera vittoria,

e dovevi ricominciare subito

come una pianta che ha continuamente bisogno d’acqua.

Io però, Maria, non sono un fratello;

adempio altre funzioni, che non so;

non quella della fraternità,

almeno di quella complice

così vicina all’obbedienza e all’eroica inconsapevolezza

degli uomini, tuoi fratelli malgrado tutto, non miei.

E tu, atterrita dal sospetto di non essere più,

sai anche questo,

e ti arrangi a farti da madre.

Concedi alla bambina di essere regina

di aprire e chiudere le finestre come in un rito

rispettato da ospiti, servitù, spettatori lontani.

Eppure lei, lei, la bambina,

basta che per un solo istante sia trascurata,

si sente perduta per sempre;

ah, non su isole immobili

ma sul terrore di non essere, il vento scorre

il vento divino

che non guarisce, anzi, ammala sempre più;

e tu cerchi di fermarla, quella che voleva tornare indietro,

non c’è un giorno, un’ora, un istante

in cui lo sforzo disperato possa cessare;

ti aggrappi a qualunque cosa

facendo venir voglia di baciarti."

 

P.P.Pasolini 23 agosto 1970" La Presenza, Trasumanar e organizzar.

prima rubato poi inviato da Chiara Yorke (http://chiarayorke-karpos.splinder.it) alle 18:47 del 05 aprile, 2004