Ha in sé la grande necessità di essere chiaro.

 

Ha in sé la grande necessità di essere chiaro. Quando scrive frasi come questa “assomigliarsi sessuate e tutte riproducenti, o invidiose di questo. Odio e soffro, dio offro un mondo come questo a crocefiggerti, ne sarebbero capaci le squinzie, veditele programmarsi un double-face che funzioni, mantenere la calma ad arte e piangere quando si deve.”, lo si vede più avanti, sta provando a restituire parti di mondo, oggetti, dopo averli metabolizzati; il punto è che il suo organo metabolizzatore, la chimica della sua respirazione cellulare, non sempre riesce a riprodurre forme euclidee. Anzi, per lo più le disattende.

Questo vale per buona parte delle forme note, tanto che spesso per provare a descrivere “quello che fa” si invocano sistemi di destrutturazione e ricodifica, la dodecafonia ad esempio, o il cubismo.

Quando scrive brani come “Io mi ricordo, domani saranno morti come oggi, lei che lo aspetta nel salone grande, con lunghi guanti e cappellino, Liza, un marito sbagliato, io che la porto a vedere i cadaveri della villa incendiata”, sarà evidente al penultimo capitolo (un lavoro che qualche concettuale scaltro potrebbe far diventare mercificazione dei pezzi del suo encefalo), l’incastonarsi preciso (o impreciso, dipende) di proteine nella struttura idrolipidica e i cambiamenti del potenziale di membrana riguardano più mondi coscienti.

Non rispetta molti parametri testuali. Il cinema, tutto negli occhi, finirà parola, lei chissà mai dove; per questa necessità di essere chiaro vorrebbe essere capito. Non prova nessun piacere autentico nel vagare confusamente: ma i suoi ribosomi cuciono tre a tre basi mutate che corrispondono ad aminoacidi nuovi, o comunque inattesi. In questo settore penseremo più al jazz sperimentale o a Bacon.

Forse il suo vero demone è la classificazione e l’anima riflettente materia naturale; procede antitetico a voler spiegare con poveri mezzi (ma neanche la matematica delle leggi del caos!) quanta visione lo costringe alla trasfigurazione della madre, che di necessità si tratta. Eccolo quindi concludere anzi tempo il suo romanzo, è questo che sarà molto chiaro alla fine, parlando a lungo di lei, o meglio diventando lei, in una simbiosi impossibile destinata alla schizofrenia ed al fallimento esistenziale.

(Sì, perché cosa vorrà dire desiderare intensamente che tutto significhi qualcosa? Quello che scriveva a vent’anni, ne abbiamo trovato un brano scritto a biro in un quaderno di raccolta, era forse deciso a rimanere fuori dalla contraddizione. Si legga POESIE SIFILITICHE (1):

Lue, lue, gentil lue

finestrine imperlate

lucertola tenue sfinge

pastello prodigo spinge

lue lue lucertolina

lisciandoti l’inguine

lue lue come morbida

e lussuriosa e pulita

e sporchina.

Qui è evidente come la malattia mortale a trasmissione sessuale (che poteva essere sì la sifilide ma anche la vita, il “venire alla luce”) riempie il cuore del poeta di un rammarico appena accennato (le gocce di pioggia che, come lacrime il viso, bagnano i vetri delle finestre) mentre i molteplici vezzeggiativi e l’evocazione gioiosa delle prime due fasi psicosessuali infantili – l’inguine l’orale, pulita e sporchina l’ anale – ci riportano ad una accettazione pacificata, sintonica, e soprattutto non ragionata delle leggi di malattia e di natura.)

(I critici registrano assenza, rinuncia. Agli indagatori, al rapporto con il contesto. E la grammatica sistematica. Le consonanti che richiamano la madre. Le consonanti che richiamano il suo nome.

Convegno sulle ultime parole: le migliori quelle pronunciate da Prezzoli sul letto di morte “mi vergogno di morire alla mia età”.

A smentire la naiveté, Jacobson parte dall’analisi della metrica (rigorosa) : 8 versi, a ritmo jambico, 2 quartine. Cesura centrale. Alternanza studiate. Coppie a rime baciate. Jacobson muore mentre si svolge un convegno sul nome proprio. Il farsi e disfarsi dell’immagine, libro suo.

Al computer smentito il giudizio che l’ultima poesia di H. sia un gioco senza senso.

Sintesi di vicinanza e lontananza nello psicotico (Laplanche).

Gran parte di queste poesie finali si collegano ad una precedente.

La capacità di parlarsi dentro, contrariamente a quanto sostenuto dai teorici della comunicazione.

Mantenuta, qui,COERENZA INDISCUTIBILE.

Anticipazione della poesia moderna. Linguaggio senza soggetto.

Dopo che Beckett ha inventato i suoi monologhi.

(o prima). Il tempo è un eterno presente.)

Finisce con gli ultimi versi di una poesia:

DIE AUSSICHT

Wenn in die Ferne geht der Menschen wohnend Leben,
Wo in die Ferne sich erglänzt die Zeit der Reben,
Ist auch dabei des Sommers leer Gefilde,
Der Wald erscheint mit seinem dunklen Bilde.

Daß die Natur ergänzt das Bild der Zeiten,
Daß die verweilt, sie schnell vorübergleiten,
Ist aus Vollkommenheit, des Himmels Höhe glänzet
Den Menschen dann, wie Bäume Blüht umkränzet.

Mit Untertänigkeit

Scardanelli

d. 24 Mai 1748