Libero da che cosa? Che importa… Il tuo occhio deve limpidamente annunciarmi: libero per che cosa? F.Nietzsche



Una cosa che penso della poesia è che la poesia va proposta nuda.


Deve poter mostrare la sua forma assoluta, la poesia, i suoi difetti, i nei e le pieghe di grasso, o le costole davanti. Il pelo, tutto il pelo che ha. Deve permettersi il coraggio dell’oscenità e della pornografia. Registriamo la struttura di tutti i suoi buchi con la videocamera, cerchiamo di capire quante penetrazioni potrà tollerare, e a quante altre potrà essere sottoposta senza forzature. Chiediamole di proporsi in tutte le posizioni possibili, e di immaginarsi orge con partner affamati e furiosi. Deve poter liberarsi da qualunque vergogna, la poesia, arrivare lì intatta e fortissima, prendere su sè ogni piacere e decodificarne la violenza, sublimarla lungo le linee eternanti delle sue ossa.


Poi penso che la poesia non abbia età, e su questo non concordo con Moana Pozzi. Leggevo poco fa pezzi del 1993 e pezzi di qualche mese fa su Anterem, una buona rivista di ricerca letteraria, la pubblicano a Verona dal 1976 F. Ermini e S. Martini , e le cose migliori, S. Martini è morto, sono quelle della rivista più giovane, ah!, ma per noi già vecchie. Essere giovani e vecchi significa non avere età, una potente logica. Nessuna età per la poèsia, è una signora, una porca signora a voler congiungere con una e le due proposizioni anzidette, e visto che parliamo di logica proporrei un nuovo ridente nome a tutte le antologie della nuova poesia sboccianti a ritmi duri in ogni angolo editoriale, e il ridente nome è questo:


tautologie. Le antologie del “nuovo costume poetico” sono tautologie, autoconfermanti, autoreferenziali, non fanno che dire ” ora sta succedendo questo, guardate che bello che stia succedendo questo, come vi sembra possibile che questo accada ma questo accade e quindi ve ne farete una ragione, oplà!, quant’è bello che ci possiamo dire tutto quanto fa spettacolo, perché vero è che tutto spettacolo fa”. Il 1987, ad esempio.



Una cosa che penso è che la poesia debba fare i conti con il suo tempo. Attenzione. Un tempo non è un’età. Un tempo è questo qui, questi ultimi trenta-venti-dieci anni, in cui tutto viene detto, e può passare, in certi canali, nei suoi canali. La sensazione che tutto passi me la terrei per me: c’è un filtro comunque, dovuto. Viene filtrato ciò che vende, certo, sostanzialmente ciò che vende. Il primato va alla pubblicizzazione, ma restano residui del buon tempo “antico”. Le università. Le nicchie della sinistra illuminata. I dioscuri delle case editrici, dei premi letterari, i padri-padrini dei quotidiani a trecentomila copie al giorno, i gusti (e gli amori) personali degli agenti dell’opera viva, sommersa. Cose antiche, pedisseque, con le loro varianti epocali ma sempre state, nell’alchimia dell’adesso diventate (ahi Severino!) confusione.


Poi penso che la confusione possa essere detta, scritta, e che la poesia, questa porca signora commerciale, possa renderne conto. E qui arriva a servirci la scienza, la possibilità di utilizzarla, nostra filologia, nostra sistemica, nostra psicanalisi, nostra scienza della storia, nostra geopolitica, nostra linguistica, nostra logica, nostra sociologia, nostra ermeneutica, nostra epistemologia, nostra filosofia, nostra teologia, nostra economia, nostra ecologia, nostra biometria, nostra conoscenza delle dinamiche produttive e del lavoro. Nostra politica.



Questo penso della poesia, e che nessuno mi chieda mai cos’è, blasfemo, pornografo, osceno, imberbe, commerciante, venduto, ignorante, stupido.Chi chiederebbe mai a una madre cos’è sua madre? (per poi vedersi magari disconosciuto, dichiarato frutto di qualche filmetto assecondante e distratto). Prima regola Clarice, semplicità. Leggi Marco Aurelio: di ogni singola cosa chiedi che cos’è in sè, qual è la sua natura.

SÌ, fanno colazione le sue indisposizioni, impaurite,

 

delle masse a fascina sua altezza e l’estremità del mondo del primo dio

 

di divertimento nessuno nella sua meraviglia di donna beneducata ed il sig. Riordan

 

che sente l’odore in lui migliore ( fiero gentile suppongo) che un’infermiera dell’ospedale che

 

rimane là come un pan di zucchero circolare piagnucolare del naso fiorisce qualche cosa affatto immaginaria

 

benché stesse oltre la donna dell’attenzione al rasoio

 

e nasconda l’amore (era un pacchetto delle bugie voi vi ricordate ) della femmina bollita di rissa

 

fatta pozzo cosciente sposata facciadangelo

 

grande di Menton ieri che è venuto a morte nel cestino di carta morbida

 

ottiene, lo sciocco anziano, allora sottopone (il mio riempimento del) terrazza di naso a vernice

 

da quell’che finge tutto il suo natale di difetto (il magna-magna comune)

 

rubante allo scoprir le ostriche- suggerire l’avviso di venerdì della spia- per fare il tocco

 

maledetto sporco lui non poteva (è venuto) luna giovane di dietro

 

e grande, di maggio

 

circa il pranzare la soddisfazione (ed io stessa) rendogli la girata

 

ebrei sfottenti i rossi del decano che domanda monumenti di lana

 

nel vostro imperatore tedesco ora immaginate nel vostro ordinario colloquio

 

che va sfrenatamente verso niente (parte inferiore del piedino di danno di confessione di paralisi )

 

avrebbe fatto qualunque cosa il non volere mio

 

lui vedrebbe gli occhi naturalmente

 

ha abbracciato attento una penitenza che lo schiaffeggia esperta

 

io me o fondi l’opera sontuosa del liquore che ha mangiata la carne conservata in vaso

 

addormentata cadente stancata lavorare al cielo ed ha detto "un’estremità che scorre veloce

 

un atto di contrizione (si è sentito che l’anima- voi- non ha parte interna) di anima"

 

avere cose tremende (di una chiamata pettinare il formato di canto di tempo)

 

che fanno, tutti desiderino considerare degli occhi del mezzo ubriaco, rifiniscalo dentro

 

che si sono resi il taglio che riempie un odore della squadra di Jesusjack

 

dei bambini supposto supponendo il funerale allegro forte gradisce .

 

Sono venuta ballando-lui ho desiderato piantarlo- lo ho avuto (ho detto) circa

 

mi ha reso il pianto ero fumata lui era andato lui, lo so,

 

molti li ho desiderati spesso ho ammucchiato la disinvoltura

 

detto geloso, lui lo ha fatto io lo potrei sapere abbastanza facilmente

 

ha rifiutato l’abbondanza allora, allora, non vuole di me. Lei non potrebbe

 

lo farebbe lui potrebbe, io ero IO la desidera era farina ha usato essere lui

 

là è stata lavata sulle donne è (sa che vengono fuori) lui -sono come un uomo-

 

lei

 

non fa come l’arresto del non può mio

 

ha avuto tusei ha significato abbastanza

 

bocca una volta molto omicidio

 

della larva alla base di conversazione del

 

momento di fila della faccia tutto foro bagnato della cartolina della via del cappello in pelle scamosciata che chance

 

saggia greca arsenica bianca difettosa di moda

 

della mezz’ora delle 20 rivolte del sesso del sonno del cuore dell’uomo del furfante di cosa di parola della natura della donna di Poldy 2 dei tè culatte delle sorelle

 

gli occhi irlandesi del lavabo ora sperano la stanza

 

così tanto i 10 miei ricci naturali fangosi ad ovest neri così freddi

 

aquamarina

 

piacevoli piacevoli delle ultimissime me terribile terribile basso abbastanza caldo

 

della O alcuni molti senza sera mai molto piccola i miei mieisuoi queste sfacciate

 

lentamente il loro ogni aperto prima (dinuovo)usuale

 

marrone come c’è ne dopo troppo freddo via caldo benedetto

 

il mio sciocco grande della bambola affamato sembrava la rovina raggiodisole che non passa mai al tempo troppo pubblico del padre

 

della gelatina di conservazione ha scritto le parole che fanno i cervelli offensivi

 

che strappano naturalmente naturalmente una (quellalettera)troppo giovane dalla parete

 

a volte(quando il granaio dei delfini abbraccia semplicemente la risposta)

 

il portello che la cucina scadente denominata ha gettato correttamente

 

tattarrattat di trasmissione galoppino rispettoso

 

1/4 dei nervi dopo l’anniversario (pulito zoppo) dell’identificazione Inghilterra-Belfast

 

la nuova bussata di tosse della base dell’hotel fa qualcosa

 

ma qualche cosa tempo che ordina stupido usuale, ebollizione

 

di paga del cameriere della flangia di lavoro di vendetta testarda santa della lama

 

primo come andare eccezionale osservare verso l’esterno le sfacciatelle venenti della fase

 

come il detto superficiale del non volere programma (vecchio

 

ultimamente) veniva intelligente dal framassone là non può, bello cachi,

 

enterico di eccitamento di politica lo ha fatto fuori fra

 

uccidendo qualsiasi cavalleria da febbre attraverso la roccia

 

e i loro kilt.

 

L’abbondanza sposata rotonda dell’anello naftalina

 

della città del kimono dei cavalli (I della O)

 

qualche ghiacciolo eroso che risparmia le fiammate certamente perfette blu del legame di calma

 

migliore pesante, nella linguetta ha vinto l’offerta delle barrette dei denti del dessert della montagna del sobbalzo

 

più bassa come pesciaffettati che appendono facilmente i cassetti rognosi delle felpe di complimento nudi.

 

Come loro parti di ricambio provate pianamente facili sgradevoli deliziose elastiche adatte ai bambini intere

 

della carne di mattina di giorni di raso pelle sottile dell’assegno di alcune giarrettiere

 

non la dimenticano dopo che l’ustione viola quattro della pelle dell’orina senza scarponcini di manciata

 

gradisca i pulitori che tagliano sul tuhai più 35 sig.ra kitty della vita dei beautys attraverso il principe del giglio della Jersey del senso di Galles

 

una certa storia divertente circa rotonda

 

la sua lama -quella preghiera- come se non ne odiassero che il cavo portato champagne flagellato

 

munisce in primo luogo perché un ricco sopportato piantato

 

più presto batte ancora l’uomo normale da programma della casa dei soldi

 

lo ha promosso lo ha dato allineare ha perso semplicemente il lotto del monte dei pegni

 

di rifiuti circa la cottura( lo soddisfa una tortadinozze ) sulla mia parte didietro che a sfortuna di difficoltà

 

seconda esposizione della minestra ,molta, credi che le vene in succhiamento

 

(spiacenti delle uova) dell’introito di risata della prima cassa quelle

 

museo come attaccato su un appendicappello un’immagine il lavoro il lotto

 

una finzione un capo di mercato disgustoso sporco degli.

 

Lei è dei vestiti soltanto mostrare fuori delle coppie congelate acquose degli aranci

 

che alcune meraviglie di essa scossa impaurita siano venute corpo

 

di incarnato, molto svezzamento fragile dalla finestra del motivo

 

di grido del contrassegno quasi a succhi

 

tutto preventivo e molto che lo abbia avuto, deve lasciare

 

potrebbe venendo a quelle linee- sa il modo- da labbri piacevoli ed allentati

 

finché la dooolcecanzooone dei motori di resistenza ha il trascurato mezzo

 

ed il sonno chiedente di alcuni soprabiti

 

la notte di calore sole rosso gigante su vergogna ho trasmesso, molto

 

li hanno goduti fanno il minimo avessimo adorato (è xxxxx )una

 

ragazza con quel matador che a quel picnic saltava impaurito dal toro che strappa

 

la rottura vi siete trasformati in in tatto

 

guasto io stessa quando eravamo cugini che combattono il divertimento con i nostri aghi

 

vetro era ombra deludente è aumentato ma quello era seguito

 

insetti grassocci attaccati leggermente rotolati

 

pesanti del puttana del signor Hungerford

 

Fiandre dell’ombra non possono popolare il maremalato

 

sei della nave delle barche o sette pianto- colore ed i sensi crescenti maledetti

 

Ulysses di guiiiide estremamente facili che il figlio a posto sfavorevole di mattina

 

per bloccare la storia ubriaca del fermo illuminazione e del cancello

 

un certo whisky cieco che comunica

 

io suppongo che non una carta con aheah che appende l’esposizione opposta della via

 

capisce la scossa riconosce la coda di fila sull’accoppiamento errato

 

i cari scarsi ottengono soltanto scrivono hanno scritto

 

con una credenza dei settanta solidi che cose così morte della miniera

 

che posto desiderato grande più lungo gradito

 

vita stupidina di verità e vedono il collega corto

 

dopo che un uguale niente presto tiro in primo luogo abbia portato la forcella che scagiona Jack

 

atlantico vicino inutile i marinai

 

Santa Maria con i miracoli che ballano

 

il ferito Majestad lungo l’innamorato di rosa dell’orologio lingua del foro

 

dell’isolatore a campana la mia bocca il mio ginocchio il figlio hanno ritenuto allineare poche pietre infantili

 

dei polli del tiptop della molla di short di conteggio dei fiori delle ragazze dette Barbary in roccia giusta nel colore rosa trasparente della camicetta bianca carezzata cielo del dado del fango di chiamata delle casematte

 

primo embarazado potresti coperto di ebrei

 

per pensare il rivestimento fatto di tempo avete lasciato il cane eccitarsi sotto il blocchetto

 

gentile signore del comecazzosichiama Joe dei tasti piccoli

 

male o siete venuto riconoscete il carattere sposato sognato nei piccioni esplosi messi a vista

 

siete andato non ha desiderato avete portato il riding del altar

 

trasmettete il senso che obbligherebbe osservare

 

il ponte o alcuno la mia madre Lunita

 

più piacevole Europa una scala alla montagna che di corallo

 

(dietro) scoppiata dalla cartolina degli occhiali neri degli appartamenti dell’India

 

un fiume ha cominciato sotto lui che ha dato la guerra

 

andante il porto derelitto pesante (opalino)

 

può addestrare la politica svolazzante dolce della sig.na Questa del piano dell’alito

 

la vettura interessante di calzolai giù espone a flash occhi delle madri di accento di sguardo del theyll di passione

 

così gli ha morso la misura con troppo troppo

 

un malato sopra vicino dentro dei noi (o noi) sì lontano lasciati di iosono

 

ci riempiamo in su così nell’ io tutto il ghiacciato esso

 

sia nel fuori per i lui è non tutto lui estremità alta calda di gioco voi che leccando qualche cosa

 

le ossa ascoltanti della prugna del biancomangiare del posto che ottengono il giorno

 

esaminante di festa delle fiammate dei panini delle unghie finte di Fleming di picnic ammalato

 

dello strangolato che dice ancora al pericolo slittante d’inondazione a stortura di misericordia dell’oro

 

lo danno finché lo slittamento spianta di bellezza fra il libro Kock che va con gli orecchini d’argento

 

di provocazione fastidiosa dell’abramide , arrampica

 

essere un po’ di confusione la carta delle gondole dei lunadimiele

 

del padre di rovina di primo piano

 

più presto trasporterà il mendicante del mastice che chiude i soldi criminali

 

una faccia che mi sono serrata ma nove code assassinano il topo della cucina

 

in notte spaventata ancora con le fotografie di Milly preferibilmente me

 

(ottenere di tutto a meno che il vetroformaggio dei nervi della sedia)

 

che

 

abbia rotto patate di disattenzione l’ho notato ultimamente

 

insincero mentre lei è della materia della mensola del cappotto

 

che fischiano il selezionamento che cosa a verso l’esterno

 

fumare le loro sigarette che mordono su esso a metà 2

 

veda la sua vaschetta alzare i suoi piedini in su

 

affatto soltanto del senso

 

nel teatro toccare provare commovente del feltro dell’albero di gayezza vestita alla moda

 

il momento si ricorda al tatto delle ghiandole di presenza finché ceralacche di assurdità

 

in modo ad amore reale nella cena e nel pranzo

 

suppongo che la maggioranza- una particella -che ha ritenuto solitamente

 

abbia preso le mie cose troppo soltanto

 

bastante colore rosso un procuratore legale di pietra donnapesce

 

della presa di pietose crepe a contraddire dentro sopra nessuna fede

 

che avendo venire mio vecchio dentro

 

non può dietro la notte della finestra, particolarmente con una che

 

cose inferriate su qualcuno (la testa è stata macchia di ruggine)

 

qualcosa caccia sotto più difettosa degli .

 

Lei è sopra suppone il torto del corpo di di

 

in corso di attesa (erano semplicemente mariti)

 

Drimmies a parlare di Spinoza fa "sieda"

 

il vicolo degli adulteri di Scarli la maledizione incinta di anima

 

iodel gatto appena lui dolce

 

della spremuta della mora delle vergini

 

(40, che cucinano espressamente il succhiare)

 

facile fischiettare qualche cosa di sguardo della trapunta orrore santo

 

in modo che il fischio baciante occupi in bolle pesca più lisce in accoppiamento sulle parti interne del giglio della Jersey

 

come la cosa bianca di lunedì resa a destra del verde delle moquette della vagina

 

l’ultimo uomo che sente l’odore di un odore offensivo

 

la faccia passa facilmente dall’io stesso dell’oro

 

a viti senza fine del qualcos’altro di tiro che chiedono ad omissioni obliquamente altrimenti sedute

 

giù il libro assurdo glorioso pazzesco intelligente di menzogne della cinghia

 

5 volte proprio eccitate -in primo luogo siamo venuti a contatto in qualche luogo dello sciocco

 

che di sorriso della madre la canzone classe ha cantato-

 

la finzione naturalmente quadrata con la scossa migliore di sonno di abitudini di genuflessioni della notte

 

ha preso tutto il sonno giallo in imitazione di religione

 

non fa ancora questo dio di fastidio (stasera ha graffiato troppo)

 

comunque il piano usato come posto

 

più difettoso del fischio dei bastoni della via difettosa che qualche cliente venente

 

dalla lotteria della prigione lungo zona del tempoo dei bordi di consolazione

 

effettivamente domani io supporrò che le bugie deludenti

 

nella cosa imburrata della via delle immagini di vita

 

della base del pane tostato disgustoso

 

di cosa affatto desideri (si dimentica tutto il male)

 

mi domando ancora il marito del Denis della donna di Josie

 

con il dovere-cofano di Milly naturalmente sì

 

nel cadere ubriaco invertito ed il culo canta a vestito verde l’uccisione piovosa che mantiene il malato

 

benché il lotto innesti la famiglia che di dietro alla parte il senso

 

in certa pubblicazione migliora il tusei che guarda bene la notte

 

e loro entrambi sulla fase che trotta girandolo dolce -hanno cantato l’innamorato glorioso-

 

squisito il selvaggio bosco dolce ha cantato, una specie di vedovo in tempo,

 

la sega italiana modo del drappeggio,

 

il suo orologio di morte del pianto del padre

 

11: ha insistito il collega riccio "si ricorda di

 

che sconosciuto scuro". 10: dalle schede della poesia risa rosse

 

Byron di speranza di sogno

 

Io dei diamanti io di viaggio delle forcelle

 

è allora, specie 20, che prende la trinità

 

un professore scrive i loro singhiozzi

 

che lucidano gli occhi espressivi della grata del punto

 

il bagno del mucchio degli affari di Keyess sulla stella,

 

voi stessi nudi con consolazioni per il rubinetto di poesia

 

il mio bianco della bocca è andato -maiali gli anni-

 

li dà la carta d’auguri viene studia pensa

 

che ritenga le carte mezze famose benché volgare spudorato schiaffeggiante

 

del posto adeguato dell’ignoramus di perfezionamento (un isolatore a campana del leone)

 

del leone da scherzo del Caesar del macellaio

 

il comer duro rotondo di tocco di quantità

 

perché passare a Marys la maniglia pelosa velocemente, assaggia

 

il timore maledetto querelante!

 

stupida moglie naturalmente pazza, della moglie

 

tutti quei desideri raggrinziti! Mai! non conoscendo il lardo inferiore di espressione prima

 

che sporco percepisce ancora i giovani pelosi

 

in cancello del marinaio delle pensiline del signore

 

di amore hanno avuti nome della miniera (chi guida ancora i pesci fini del vicolo)

 

il suo sonno che minuscolo di movimento di prostitute

 

O è venuto, faccia essere la prigione diguazzando rotolato in su io stesso

 

ed hanno governato la macellazione della madre

 

di gioco di arresto dei cavalli, tutta una madre,

 

il caso selvaggio di notte lo ha soddisfatto non era nel piangere lanoso centrale feltro

 

mai non andate che venga a contatto dei balli belli vivi

 

l’una o l’ altra lama dell’alloggiamento facile del sofà come il rosario dei diavoli

 

uno spacco nome della rampa non ritiene che esta rotondo della linguetta usted muy bien i gracias

 

il sonno di pietà dello Spagnolo di pietà

 

due di grammatica fa la fortuna, lo sguardo piacevole:

 

osserva qualche cosa di studi non vuoti divertenti di huevos di nozione

 

assicurandosi che la casa da vendere fiordipesco fa più senso

 

venente da notte di mattina dalle carote dell’eccedenza

 

lei ha dato pietà di crema che veste il ferro scopato a sguardi irlandesi

 

creda fa gli adulteri come

 

rompesse la galleria, hanno (hanno) affrontato il bastone dicono a

 

non desiderano altro, io stessa, oltre alla prugna sanguinante

 

abbastanza gay sconci del parassita della merda di risposte dai cassetti

 

Oh! Più indietro, meglio se il quarto Cina del soffitto della strofinata che squilla la preghiera dispari

 

(dopo faccia un pisolino) la lampada più piacevole al lato dei fiori lui allevolte

 

e le sigarette, io sono aumentata, o quelle rose piacevoli di amore della pianta delle ciliegie

 

scorrendo veloce-dell’avena vedi le barrette delle viole dei laghi generare gli atei che urlano prima la coscienza-

 

che che aumentano fra l’ente perso bisestile del dolce con semi di carvi del tweed

 

(perché il capitano del cielo del non voglio)

 

di piacere io di feltro servo i Greci alti coi pettini delle ragazze del pilastro

 

e gli asini proteggono le rotelle che chiedono al poco

 

cremisi della lampada delle nacchere della grata,

 

il gelsomino dentellare stupendo dove ho un colore rosso

 

sì lo ha baciato

 

sì la mia montagna i miei seni

 

il suo cuore sì.

Riduzione poetica dell’ultimo capitolo ("Penelope" Il letto) dell’Ulisse di James Joyce, Trieste-Zurigo-Parigi 1914-1921, tradotta da Babelfish ed aggiustata dalla poeta.

 

QUARTULTIMA DIGRESSIONE DAL TESTO

Dice che un amore sei
predisposto e gioioso
dice che l’amore fai
nel vento di tempo di frodo
dice bellissima campana
(ma campanule non le io tengo)
dice: avvertitovi che dimana
sarete un pensiero correcto.
Mai più, per tante parentesi volo mai
più, accetto il dividio, il consolo ma
i più mi guardano fradici e stanno ispidi
su. Avemmo s’è ovvio uno solo.
Di loro.
Per cui:
nell’epifania, nella rinascita e
(sia)
nella costruzione
nella trappola
nell’immensità del dopo dell’amore
vedo te salisceso e apocrifo ed immane
sai, mi dico che non ho difeso nulla e rimane
in me, spuntata, questa favola spoglia
sempre vuota una figlia continuativa, una
figlia alfiere, nel tuo tessuto a scacchi
che rende torbide e brillanti
e rende fradice e sognanti e rende
sintetiche o vibranti
molte, di noi, sere.

Sono una vecchia madre. Adesso ancora sveglia, ora che nelle pieghe progressive la notte si dispone a strati d’alba e si sentono fuori scricchiòli d’uccelletti in tormentati gazoo mi sono distesa, mal corrispondente, in morbido delirio. Adesso immaginata molte volte sottile l’ansia del luogo non prevedo e non sento, ma si sovrappongono figure per sempre amate in andirivieni frenetico. Seduta davanti alla finestra della sala da pranzo, oramai immobile nella grassa attesa del prossimo round, il mio nipote più buono e che ha occhi solo per me ha solo per me gli occhi ha occhi grandi che parlano soli . Un piatto di minestra. Anca ancò emo magnà. Gea dal furbo sorriso.

( Ricordo la farfalla ch’era entrata
dai vetri schiusi nella sera fumida
su la costa raccolta, dilavata
dal trascorrere iroso delle spume.
Muoveva tutta l’aria del crepuscolo a un fioco
occiduo palpebrare della traccia
che divide acqua e terra; ed il punto atono
del faro che baluginava sulla
roccia del Tino, cerula, tre volte
si dilatò e si spense in un altro oro.
Mia madre stava accanto a me seduta
presso il tavolo ingombro dalle carte
da giuoco alzate a due per volta come
attendamenti nani pei soldati
dei nipoti sbandati già dal sonno.
Si schiodava dall’alto impetuoso
un nembo d’aria diaccia, diluviava
sul nido di Corniglia rugginoso.
Poi fu l’oscurità piena, e dal mare
un rombo basso e assiduo come un lungo
regolato concerto, ed il gonfiare
d’un pallore ondulante oltre la siepe
cimata dei pitòsfori. Nel breve
vano della mia stanza, ove la lampada
tremava dentro una ragnata fucsia,
penetrò la farfalla, al paralume
giunse e le conterie che l’avvolgevano
segnando i muri di riflessi ombrati
eguali come fregi si sconvolsero
e sullo scialbo corse alle pareti
un fascio semovente di fili esili.
Era un insetto orribile dal becco
aguzzo, gli occhi avvolti come d’una
rossastra fotosfera, al dosso il teschio umano;
e attorno dava se una mano
tentava di ghermirlo un acre sibilo
che agghiacciava.
Batté più volte sordo sulla tavola,
sui vetri ribatté chiusi dal vento,
e da sé ritrovò la via dell’aria,
si perse nelle tenebre. Dal porto
di Vernazza le luci erano a tratti
scancellate dal crescere dell’onde
invisibili al fondo della notte.
Poi tornò la farfalla dentro il nicchio
che chiudeva la lampada, discese
sui giornali del tavolo, scrollò
pazza aliando le carte –
e fu per sempre
con le cose che chiudono in un giro
sicuro come il giorno, e la memoria
in sé le cresce, sole vive d’una
vita che disparì sotterra: insieme
coi volti familiari che oggi sperde
non più il sonno ma un’altra noia; accanto
ai muri antichi, ai lidi, alla tartana
che imbarcava
tronchi di pino a riva ad ogni mese,
al segno del torrente, che discende
ancora al mare e la sua via si scava.)

Sono la vecchia madre, nella cosmogonia di Esiodo primaria cosa emersa da caos e ho generato sola Urano e il cielo stellato e le montagne e Ponto, seduta sulla sedia, poco assistita, all’ospedale di Negrar, tra le puerpere starnazzanti, staccato da me non ti sono riuscita a pensare ma premevi tanto e forte chissà che ti credevi. Che avresti scambiato files musicati su kazaalite? Che saresti partito carabiniere per l’Iraq sconquassato? Che ti avrebbero assunto supplente nelle classi di matematica nella scuola dei ripetenti? Che non trovavi la berlina adatta al tuo matrimonio ritardato? Che saresti stato amato dall’ultima delle tue mire? Che saresti partito per l’america per un posto certo da neuroradiologo? Che avresti trovato lavoro in cartiera e mai più altro? Che saresti entrato a piè pari nella vita disastrata della contessina accanita? Che avresti fatto strip umilianti per pagarti l’eroina? Che avresti aspettato dieci minuti dieci prima di parlare davanti a quella donna schifosa? Che avresti perso ogni voce, ogni voce possibile, in incastro stabile di prospettiva?

( E’ pur nostro il disfarsi delle sere.
E per noi è la stria che dal mare
sale al parco e ferisce gli aloè.

Puoi condurmi per mano, se tu fingi
di crederti con me, se ho la follia
di seguirti lontano e ciò che stringi,

ciò che dici, m’appare in tuo potere.

Fosse tua vita quella che mi tiene
sulle soglie – e potrei prestarti un volto,
vaneggiarti figura. Ma non è,

non è così. Il polipo che insinua
tentacoli d’inchiostro tra gli scogli
può servirsi di te. Tu gli appartieni

e non lo sai. Sei lui, ti credi te.)

Mi passano vicino come se non avessi nome, ingombrante ed indesiderabile cosa che sono, ma per te sono stata importante, vero? mio tato? Che inveivi contro il fratellino urlante? Ed ero al centro del tuo mondo umido. Mio. So di non essere buona ma crocevia di spinte contrapponentesi e risultante vettoriale di forze sòliloque, so di non essere buona anche se Madre e Investita, mi viene in mente ora: non saprei dire bene quale fosse il desiderio di sempre. Avere una mia casa con l’uomo e avere dei bambini da lui. Questo potrebbe bastare. Necessità di consenso? I miei bambini ed io stessa abbiamo bisogno di venire riconosciuti dal paese. Ho capito meglio che tu sia morto in Grecia, meno che tuo fratello sia nato cerebropatico. Ed è tutto un uh uh. Ed ha quarant’anni suonati. E lo custodisce e lo cura sua sorella ma io, IO, sono madre di un handicappato. Lo dico ai vicini di casa prima di presentarmi. E’ una croce alla mia maternità gloriosa, al merito, certo, ma io non sono buona, desideravo gloriarmi di figliuomo nella reggia perchè il paese (Affi, quattromila abitanti, con Incaffi e la Cà Orsa i sta tuti ne na borsa) potesse dirmi che brava donna fossi, magari la migliore. Ora sono in carriera direzione santità, pensavo ad altro fasto ma può andare, tutto questo andrà.

(Per un formicolìo d’albe, per pochi
fili su cui s’impigli
il fiocco della vita e s’incollani
in ore e in anni, oggi i delfini a coppie
capriolano coi figli? Oh ch’io non oda
nulla di te, ch’io fugga dal bagliore
dei tuoi cigli. Ben altro è sulla terra.

Sparir non so né riaffacciarmi; tarda
la fucina vermiglia
della notte, la sera si fa lunga,
la preghiera è supplizio e non ancora
tra le rocce che sorgono t’è giunta
la bottiglia dal mare. L’onda, vuota,
si rompe sulla punta, a Finisterre.)

(La frangia dei capelli che ti vela
la fronte puerile, tu distrarla
con la mano non devi. Anch’essa parla
di te, sulla mia strada è tutto il cielo,
la sola luce con le giade ch’ài
accerchiate sul polso, nel tumulto
del sonno la cortina che gl’indulti
tuoi distendono, l’ala onde tu vai,
trasmigratrice Artemide ed illesa,
tra le guerre dei nati-morti; e s’ora
d’aeree lanugini s’infiora
quel fondo, a marezzarlo sei tu, scesa
d’un balzo, e irrequieta la tua fronte
si confonde con l’alba, la nasconde.)

I versi citati tra parentesi sono di Eugenio Montale (1931; 1940-42)

Ecco, figli esausti, la vostra vecchia madre. Gea, Gaia, dal mio figlio maggiore ho generato i Titani, le Titanidi, i Ciclopi dal solo occhio e Crono. E l’ho stuzzicato, Crono-Saturno della melancolia, ad evirare il padre, mio figlio stesso, per fecondarmi ancora che dal suo sangue potente nascessero ninfe e giganti e vendetta (tutti nascosti nel ventre della terra li teneva questi bei figli del cielo). Dal mio figlio minore cinque divinità marine. E dall’inferno, il luogo più interno, un mostro alato con cento teste di serpente e le fiamme negli occhi e Echidna, ho fatto anche lei, l’ho fatta metà donna e metà povero, povero rettile.

Iniquo. Non starò a spiegartelo. C’è un sogno, la notte, che continua a ritornare. E’ la ripetizione di un gesto. Questo gesto, vedi, continua a ritornarmi. Un poco fa così: c’è uno spazio tra me e l’altro, uno spazio semisacro, appena possibile, scarno. Lì è fattibile l’incontro, ma quell’incontro è fatto di substrato osservante, che c’è uno sguardo, che c’è un’apertura d’occhio, che c’è un vedere. Chi guarda chi? I due si guardano. Chi vuole chi? I due si vogliono. No. Mi si vuole. No. Voglio io. Ma temo che non siano soli, nel sogno non sono soli. Hanno con sé un’aura altrui. Questa li circonda e li rende desiderabili, moltiplica gli affetti e gli affanni, gravida il respiro, circonfonde le visioni. Riuscire ad allontanarsi dall’altro vero che importa e proiettarsi nello spazio esiguo dove si verrà rapiti. Ratti. Sabine. Naiadi. Danaidi (supplici). Odissea. Ma vaffanculo i greci, cosa me ne verrà mai in tasca? Adesso è ora e ora , nel sogno, so che c’è quello spazio, esiguo, dove si gioca un allontanamento tradente e nel movimento di quel tradimento un boccio d’amore. Prima era amore? E dopo, dopo è sicuramente gesto estatico. Vicino alla bocca, guardare la bocca, abboccare? A lungo tentennare nel corpo porto, nel corpo proposto, nella tensione dei mille muscoli del viso, voglio un viso, una faccia, una davanti, di un ragazzo bruno, i capelli corti, gli occhi lucenti, un’espressione mobile, viva, disincantata, eternamente giocosa. E il gioco che facciamo non lo conosco bene, no, ha una sua esilità, un suo disequilibrio, una fretta e una misconoscenza e un’onnipotenza gracile di adolescenze mai concluse, è l’antimaturo il ragazzo che mi bacia, infine, mi bacia e quel bacio è tutto. Tutto è lì, nell’incontro finissimo e morbido e morboso, nell’incontro scintillante, nell’incontro brumoso e vietato, impossibile, nell’incontro impossibile, quel nostro corpo che diventa fantasma, fantasia, polvere, idea, ecco perché poi mi viene da piangere.
(ma dicevo che mi piaceva la notte, tempo fa).