E’ stato Mauro a farci leggere i fratelli Karamazov, sostenendo fossero superiori ai Demoni. Tanti libri sono, dalla scena originaria si arriva ad Aleksej ed al suo starec la purezza dell’abbandono religioso dentro la regola. Dmitrij, poi, il fuori di testa e d’eredità, turbolento e carnale. Ed infine, nell’algebra relazionale interscambiata delle due donne centrate, Katerina e Grusen’ka (interpretata stranamente da Lea Massari nello sceneggiato televisivo dei tempi coraggiosi), l’enigma di Ivan, la sua problematicità.

Freud considera questo romanzo uno dei maggiori (lui in realtà dice "il più grandioso che mai sia stato scritto" ) e lo userà per l’esplicitazione di riflessioni importanti sul parricidio. Moravia sostiene si tratti di un romanzo troppo simmetrico, e in questo probabilmente ravvisa l’attenta suddivisione dei ruoli, la sequenza costretta che fomenta la suspance. Noi stiamo aspettando, con violenza, che Ivan scagioni il fratello senza colpevolizzarsi.

Visto che questo non accadrà, perché i russi, e con loro il maestro Dostoev, a tragedia sono assimilabili ai greci dell’Eschilo, ci stiamo rassegnando a vederlo partire per la Siberia, l’Ivan senza Dio. E ci chiediamo quanta bellezza sospesa ci fosse in più nei Demoni, imperfetti, anteriori, dove il processo è solo un’appendice e l’incendio e la perdita del padre sciocco e la presa per il naso e la coscienza di peccato ed il matrimonio impossibile rendevano Lui, il ragazzo Alessandro, una specie di antieroe completo, tutto tutto teso a diventare una cosa incomprensibile ma dovuta, coerente, anarchica soda.

Sull’anarchia che non piace, quella lì, del 1870 potrebbe essere, col geniale e sensibile Dostoev potremmo parlare a lungo. Lungo progetto aveva (l’anarchia) a fronte dei contendenti addetti alle dittature. Sembrava messa lì apposta a dire " muso rotto, non mi metti sotto". Non credo si aspettasse i gulag (Dostoev), anzi forse li avrebbe capiti, zar per zar, Siberia per Siberia…ma no. Non avrebbe capito la mancanza dell’elemento popolare e della sua religione complicata. Ma  chi è più violento, Marx applicato che mette in riga economica o la bomba anarchica? Nei Demoni il socialismo è ancora un’idea lontana ma non prende poi il corpo sbagliato (chi ne ha paura, chi ci ride), e questo corpo è temuto come perdita di possesso mistico.

E’ stato Mauro a farci arrivare fin qui, e anche Irazoqui, amico del russo che pure noi amiamo, ci piace, ecco, il suo sguardo, lo ripetiamo, lungo. Ci piace il suo senno dilatato e sezionato che nella narrazione riesce a creare personaggi intatti, per quanto troppo velocemente convertibili, meno nei Demoni, vi dico! Ci si converte meno in quest’opera mezzana, è la forza dell’età media, allora no! Ci piace comune, comune denominatore, il capire il tempo d’uomo e la lentezza con cui si dipana la principale preoccupazione. E delle donne il mai rivelato mistero, la loro sospensione e la dura presenza petulante delle domestiche e delle salottiere, equiparate. E Liza…

Ma per uscire di qui io pensavo: dopo tutte queste belle riflessioni sul dio e sui padri morti dei figli mezzani, perché non passare alla maga Plath?
Ella compone solide dissezioni dell’animo e svela l’ossa. Tutti si uccidono attorno a lei, lei dà l’esempio, ma a questa morte è data ampia giustificazione, come un tappetino, che anche Fedor conosce, come un tappetino che accolga. Nella capacità che la poetessa ha di connettere con la vita le perdite e i fallimenti.

Ah! Perché questo post voleva trattare i fallimenti, ora ci sovveniamo, le cose che vengono irrimediabilmente perse e abbassate, il suicidio attivo e quello indotto, ma per dire: potrebbe il fallimento essere un risultato, e magari essere visto in ottica evolutiva? Impiccàti certo non si va da nessuna parte, mi piace Deleuze quando parla della morte, ma intendo: evolutiva in quanto sola possibile deriva d’incroci di vanità sterili, elemento vivificante basso della stonatura di costruzioni balorde e svuotanti? Il fallimento pre-suicidario, ecco, potrebbe essere la sola base per un’esistenza vera, e se nel suicidio c’è un fallimento potrebbe darsi una delle cose migliori, nel gesto e nell’intensità dello sparire, che quel tipo di esistenza può.

Così si ragionava pensando ai demoni e ai fratelli, alla siberia e a sylvia e a nicholas e al mondo che continuamente s’inventa, con le sue regole, il suo assurdo, le sue bugie attoriali, i suoi papi e la sua vanità. Perché il mondo continuamente s’inventa, si spacca, si riamalgama e si fa. E la storia e le cose che parlano attorno a noi dicono questo, dicono:, guarda cosa c’è scritto, guarda cosa s’è inventato questo in complicazione irresistibile. Vedi dove ha toccato che è importante e vedi dove ha lavorato in accumulo di gestione, potere per potere, mano per mano. Siamo rimasti ingarbugliati in un dettato.

Guarda dove la storia bluffa. E dove truffa. Guarda Dostoevskij quando si impiglia, uno dei migliori, e guarda la Sylvia, la sua carne indocile, la sua incapacità depressiva che arriva a dirti tutto, guarda come tutto è da ricomporre e svincolare, e come ciò che non si svincola sia altro da quello che sembrava l’altare. Utilìzzati. Diventa il pensiero che si assume, si investiga e si perdona. E deponilo, da qualche qualunque parte, perché è comunque sempre piccolo e bisognoso.
Tieni unite le parti.

Siamo:

. dipendenti dall’elettricità, questo sempre più, nelle nostre orge comunicative serali per lo più, la televisione accesa ma non la guardiamo, vengono piuttosto ascoltati i sussulti e le urlatine del di turno, preferibilmente su rai tre che Ghezzi l’angelo non posti qualche , ma quasi sempre, sua bellabella cosa e purtroppo, olè, non la sentiamo mai perché i giapponesi, ad esempio, parlano poco, parlano piano.

. abbastanza cinci, bottiglietta di custoza al davanzale, ma mai cinci eccessivamente, di solito per lo più, va mantenuta media un’alcolemia standard (i corpi mammillari ringraziano) e quindi abbiamo a creare quest’ambiente fluido dove tastiera scorre e dati attorno accorrono, innamorati di una specie di sobrietà.

. sicuri che sia notte fonda, che praticamente è il mattino, e che tutti dormano, la qualunque dorma, le segreterie mute, i gatti con poche idee alimentari, ma pure, chessò, il commercialista deve dormire, e anche la zia, e la Sabri, e la statistica , e i carabinieri, e l’ufficio dell’agsm, e il premio letterario e la vicina, e il ladro e Lorenzo, soprattutto.

. accesi da una voglia frequente di fare uscire una specie di lupo dalla favola, vermetto dalla mela, gemmetta dal tronco solido, reazione chimica dal bicarbonato col limone, lievitazione dalla torta peracacao, penetrazione dell’occlusione dei tubi del bagno, trovare le parole, portare le parole, risolvere i problemi, pianificare gli ingorghi, controllare disordini, mettere i punti insieme eccetera.

. arresi alla complicazione costante di ogni cosa facciamo, e lunghe lacrime interne sui fallimenti del lavoro distensivo, della proposta cosciente, dell’utilizzo dei saperi e delle qualità, porchissima la frase lasciva che uscirebbe se volessimo, lungamente lacrimosi e incupiti da tutto che non si fa fare, puliamo il fornelletto con quaranta fogli di carta regina perché è lontana da noi l’esperienza dell’olio ma, attenzione, ce l’avessimo, la riporteremmo comunque indietro, nella sfera delle cose che si credono sapute e non ci tangono più mentre, tac, arriva l’untore che non ti aspetti.

. delusi dal ripetersi degli errori nelle esperienze ed ancora non convinti di niente, per come fare a correggerle, per cosa dire nel vederli, su cosa salire per non bagnarci le scarpe; vorremmo trascendere e non trascendiamo, non ci sentiamo trascendere almeno, e non trascendiamo credi, a ritrovarci qui nelle mattine insonni sghembi e comunque costruiti nel film che ci racconta.

. posiamo, nella gara dell’essere, quel personaggio e la sua maschera, sono-io, ma adesso quasi privi di dimensione condivisa, posiamo per noi, per la nostra bella faccia nella giostra di esistere e la quotidianità prende uno spazio grande, ci consola e ci risponde ma i sogni del sonno premono comunque, vogliono sfondare un muro inesistente, stanno lì a raccontare un’altra storia che poi diventa storia della storia immanente, e tutto ‘sto casino, Gerina, fai due disegni o tre.

. stanchi, un filo stanchi, di tutto questo andare e della meraviglia della piantina e del sapere morbido di aprire chiavistelli: sempre una stessa premessa esce dalle soluzioni, dai libri e dai colori, scintilla e fumo dei mercoledì.

Seguendo il metodo dell’indagine umanistica senza appigli filologici esibiti, inducendoli insomma:
il maschile e il femminile assillanti ma, giocoforza, elementi imprescindibili di distinzione descriviamo. Da un disegno su compensato di Gerina emergono forme di interesse. Si tratta di una figura ibrida, due corpi si intersecano uniti alla parte laterale del bacino, un gemellaggio siamese basso. I caratteri sessuali secondari non corrispondono ai primari.
E di questi rileviamo elementi formali connotanti. La figura di sesso femminile ha caratteristiche rapportabili ad una scissione verticale: l’ovale delle grandi labbra viene "tagliato" in due dalla linea che, intrinsecamente morfologica, le definisce: il taglio va dall’alto al basso. Si tratta di una scissione di parte intera che toglie elementi di distribuzione alle rappresentanze dell’insieme, che le divide dove tutte, comunque, rimangono, dequantificate. Se volessimo parlare della distinzione sessuale come di una patologia faremmo un parallelo con i disturbi di personalità, la scissione verticale permette la coscienza di parti rimaste e costituenti una sorta di personalità "intera" e non fa vedere invece le parti sottratte a questa.
La figura di sesso maschile è invece portatrice di una scissione orizzontale: il taglio è all’altezza del glande. (Gerina non prende in considerazione i corpi cavernosi, così come non ha preso in considerazione la clitoride e, perchè no, le ghiandole di Bartolini, anche se ha presenti questi dati scientifici. Sembra che i disegni dei ragazzini sui muri abbiano connotati di realtà superiori alle autopsie). La scissione orizzontale è la scissione schizoide: le parti restano intere ma inesorabilmente distaccate dal sé, quindi il grumo narcisista non prende contatto con la possibile parte evoluta ed il suo linguaggio codificato.
Dalla disamina del femminile in quanto disturbo di personalità e del maschile in quanto disturbo narcisistico ci piacerebbe arrivare ad una possibile analisi del fenomeno guerra (vedi patologia dei rapporti), e com’è che invece ci viene da ridere?