ABITI NERI
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Perché indosso vestiti di lutto?
Sono in lutto per le famiglie che ho avuto
per la pazzia che non ho avuto mai
Ma che ora mi concedo
per la perdita d’amore del mondo
per i rispettivi destini dei miei genitori
per l’amore piu’ completo che ho conosciuto e che
ho distrutto.
Sopra ogni altra cosa sono in lutto per
la mia stessa morte
che e’ precisamente quella morte che ostinatamente vivo
E porto il lutto per la morte dell’
amore nel mondo
E per la non-distinzione tra la morte e l’amore
Sono in lutto per la non-distinzione ma anche
per un eccesso di distinzioni
Sono in lutto per la mia incapacita’ a
spezzare tutte le differenziazioni del mondo
cosi’ da rendere il cosmo una sola attivita’
Sono in lutto per l’apparente distanza
delle stelle e delle galassie e perché non posso trovarle
tutte in un sol luogo che e’ il mio cuore
che e’ il cuore del mondo.
Sono in lutto perché gli anni luce tra
noi e Andromeda sono un mito in cui
la gente crede. Andromeda e’ in noi e noi siamo in lei.
Sono in lutto per la scarsita’ di una vera
violenza che liberi uccidendo
la morte – una violenza che pianti con amore una bomba
nel cuore della morte.
Ma soprattutto sono in lutto per la mia stessa morte
Ma puo’ essere che questa sia un’altra menzogna
Puo’ essere che io sia soltanto in lutto
Puo’ essere che io sia soltanto
Puo’ essere che io possa essere un essere che puo’ essere
Ma puo’ essere che io sia soltanto in lutto.

David Cooper
(da La morte della famiglia, 1972)

 

Le mie lettere d’amore cominciavano sempre con movimenti diretti.

Sono qui che sei lontano Antigua brucia di ti odio come a questa notte manca. Propaggini di stelle bambi.

Aggressive e lucide, a lungo ti descrivevo il corpo. La bellezza del corpo. Entravano nei movimenti, anche, nelle gestualità. Smaniavano in atti sessuali  e raffigurazioni di peni, anche, ascelle, braccia, mani e gambe, le belle cosce. Il culo.

Ma ci sono state lettere d’amore in cui ti ho attaccato al muro. Te ne ho dette di tutti i colori. Precisata ogni insufficenza e vomitata addosso la bile, rivoltolato vivo nella tomba per te scavata. Lettere d’odio caldo e scorpaccioso, erano così umane, erano così sentite, erano ribollenti di sentimento come cattive.

Devi esserti sentito fiero di ispirare cotanta furia. Io lo sarei stata, col filo di paura che non guasta.

E poi,  el me omo, ci sono state lettere d’amore con i controfiocchi, frequenti, lunghe, pagina quattro, pagina cinque, ricopiature selezionate della roba più bella della Dickinson, con quel suo, di amore, fantasma, casalingo, idolatrato, sul lungo nuovo england tra la bibbia e la notte, sul trifoglio  sulla possibilità, poesie di bacca rossa, poesie di buio biancovestito cuore. E lama.

Ma roba da appendice. Ma roba da rapporto epistolare onanistico. Mai una risposta, amore!!

Le mie lettere dell’ amore finivano lì, nella cartellina, che le ho rilette tante volte da averci voglia di modificare, correggere, come si farebbe nello scrivere una storia, sai una storia? Amore? Sai una storia quando parla di interazione, tesse trama, procede per dialoghi o lunghe descrizioni di fatti, o corte, saltellanti nel cambiamento del ritmo, una storia ben coreografata, ecco, scattante, con rispondenze anche poco ortodosse, con fantasia, su!, con fantasia ed utilizzo scintillante ed appropriato del linguaggio.

Dimmi, luce di playstation, credi che te ne scriverei ancora?

Ma si che, ecco, questa ne è ancora: vorrei vederti felice (parte tao). Vorrei vederti felice. Sapere che tutta questa pena porti ad un buon risultato. Vorrei vederti morire bene, e vivere, accettato e confortato. Mi piacerebbe anche essere ringraziata.

(parte carogna): (va che il mondo l’è ‘na roba brutta. La dissipazione di un monoinvestimento. Che magari potevo affezionarmi altri. Sentiamo cosa dice Campana, che non naviga di sponda come la memedesime. Dice:)

 

O città fantastica piena di suoni sordi…

Mentre sulle scalee lontano io salivo davanti

A te infuocata in linee lambenti di fuoco

Nella sera gravida, tra i cipressi.

Salivo con un’amica giovane grave

Che sacrificava dai primi anni

All’amore malinconico e suicida dell’uomo:

Ridevano giù per le scale

Ragazzi accaniti briachi di beffa

Sopra un circolo attorno ad un soldo invisibile.

Il fiume mostruoso luceva torpido come un serpente a squame;

Salivamo. Essa oppressa e anelante,

Io cogli occhi rivolti alla funebre febbre incendiaria

Che bruciava te, o nero naviglio alberato di torri

Nell’ultime febbri dei tempi remoti o città:

Odore amaro d’alloro ventava sordo dall’alto

Attorno al bianco chiostro sepolcrale:

Ma bella come te, battello bruciato tra l’alto

Soffio glorioso del ricordo, gridai o città,

O sogno sublime di tendere in fiamme

I corpi della chimera non saziata

Amarissimo brivido funebre davanti all’incendio sordo lunare.

 

 

ah, e pensi che qualche volta mi sembra che tutto quello che ho preso sul serio sia finto e fatuo

mi vedrebbe camminare come una sottomodella blesa, allora, sulle solite vie del parco giochi, con gli occhiali sbagliati

e porterei con me una copia di un’antologia, il Fiume Cucchiaio, per darmi lo spazio che è quello che in mille hanno

capito, e non mi accorgerei di avere quella sciatta ma così azzeccata coda di cavallo che ha voluto significare molto di più

molto di più, vede, di quello che adesso mi riguarda, ma guardi, le dico che a me importa molto di più adesso che

questa cosa riguardi solo me. E vede quanto sia difficile stabilire cosa conti di più, molto di più, per esempio se le dico

"libertà individuale", a cosa pensa? Tutti impegnati a difendere lo stato di diritto delle minoranze

cosa c’è di più minoritario di uno? E ma infatti è anche questa l’attuale impostazione, buona e socialdemocratica

ma guardi, lo dico senza alcuna ironia, capivo Lolli si, quando si esprimeva diversamente, ricorda il

"gallo senza cresta"? e "il nano che ti arresta"? " e "il nemico marcia con i piedi/nelle tue stesse scarpe"?

quindi mi sento molto giù, a volte, e mi pare che non ci possa essere altra alternativa all’essere il vero nemico

di se stesso, faccio due conti e la vita mi pare gioco corto, impiego tritato, impegno stolido, potente

stortura, riconosco con commozione quasi vibrante quanta fatica e quanto amore, e poi li vedo scaravoltati

padri della prossima fucilazione