Una bambina, tralalà, corre si spinge si volta, vedi un po’, s’arrota bisticcia tra sale, ah!, ed eccola là.
Fatina millimetro, un filo sboccia. Ma cade.
Un aereo per arrivare dalla mamma. Le vien da piangere, come ritornare fin dove partiva (dalle quattro strade) e come ritovare quel cenno capo amore e come ristabilire il potere che pareva immenso quando decideva di an-dar-se-ne con l’omone del paese più distante che la aspettava sotto la porta la sera perché, si sa, sotto le porte di sera appaiono i fantasmi degli anni belli e del sorriso tramortente degli anni belli i turbamenti?
Una bambina, tralalà.
E una vecchina, eccola qua.
Stampata sulla faccia la smorfia dell’intreccio sospeso e grave di un miracolo scampato, sdentato e largo una grande sconfitta, e, sai, le poche cose solide della vitta. Che sono: gli altri che mi guardano mentre faccio qualcosa a caso, la calma ed il calore e la tranquillità di un divano-letto, la tenebra pulsante della notte che viene, un mattino inetto. L’uomo del sogno di ieri ha preso la via delle fiabe coi suoi figli caproni caproni, ci vuole un ospedale.
Questo grande corpo. Farlo amare da una radiografia, una cistografia, una flebo, bisogno di grande cura grande corpo ha.
Vieni ad amare la grande madre deturpata nuovo mascherato figlio apparente e portale due fiori, un pensierino, un frutto, mentre le stai vicino e non vi dite niente, un seme, un giornaletto, una camicia rosa, a guardare fuori dalla finestra del quarto piano il fiume scorrere, un cilicio, un rosario, una medaglietta o uno scialle a maglia preparato con il filo delle lane di tua moglie.
Una moglina, dritta su per il cielo pulsante, con i suoi desideri esasperanti nella collezione dei dolori e le  pretese incapibili come per le tende, la domenica, le visite, per l’attenzione e l’armadio. Il suo portare tutto ai riti di famiglia e cimitero.
Una moglina, tralalà, corre si spinge si volta, vedi un po’, s’arrota bisticcia tra sale, ah!, ed eccola là.
Fatina millimetro, un filo sboccia. Ma cade.

Tre cose che so del patto col diavolo.





Un posto fermo, disabitato.

Rapporti con gli oggetti univoci.

Tutto pulito, al suo posto, fissato.

Mettere ogni cosa dove va.

Forme sicure, squadrate, finite.

Il tempo bloccato è dentro quello spazio chiuso.

Mai un solo pezzetto di cenere sul tavolo.

Un posto fermo, disabitato.

Rapporti con gli oggetti sicuri.

Nessun altro.

Movimento lineare uniforme verso il passato.

Fotografie (immagini fissate).

Contatto con cose lisce, ordine, ordine.

Emerge la dentellatura incollata del pezzo del vecchio quaderno.

E così la posso controllare, vedi che non mi disturba.

C’è solo lei, vagamente frattale, a dare apparente confusione.

Ma sono nel posto fermo, disabitato.

Sono nel mondo che non si muove.

Rallentata, ho pudore ad inserirmi in quel silenzio.

Non voglio fare rumore.

La punta dell’extra-fine ne fa già uno suo, esorbitante.

La carta che dà quello sfregolìo sensuale è già troppo.

Il minimo input risulta scandaloso, immane.

Sono nel mondo medio, semifermo.

Quindi davvero finito.

Sono sotto l’universo campana.

Tirare fuori le sigarette dal pacchetto rende gli estremi.

Troppi materiali diversi che si toccano.

Adesso so cosa succederà, tremo al pensarci.

Un rude sfregamento sulla silice.

Di legno squadrato e pallette blu, visione, zolfo.

Un odore acuto, marcito, molesto, gravido.

Quella cosa ficcata nelle labbra, discontinuamente collose.

Un incendio rosso e nero, trattenuto sopra l’orletto.

L’odore buono della combustione, ossigeno e reazione.

Miliardi di molecole festanti.

Io che mi avveleno.

Il cuore?

 Un posto fermo, disabitato. Rapporti con gli oggetti univoci.

Tutto pulito, al suo posto, fissato. Mettere ogni cosa dove va.

Forme sicure, squadrate, finite. Il tempo bloccato è dentro quello spazio chiuso.

Mai un solo pezzetto di cenere sul tavolo. Un posto fermo, disabitato.

Rapporti con gli oggetti sicuri. Nessun altro.

Movimento lineare uniforme verso il passato. Fotografie (immagini fissate).

Contatto con cose lisce, ordine, ordine. Emerge la dentellatura incollata del pezzo del vecchio quaderno.

E così la posso controllare, vedi che non mi disturba. C’è solo lei, vagamente frattale, a dare apparente confusione.

Ma sono nel posto fermo, disabitato. Sono nel mondo che non si muove.

Rallentata, ho pudore ad inserirmi in quel silenzio. Non voglio fare rumore.

La punta dell’extra-fine ne fa già uno suo, esorbitante. La carta che dà quello sfregolìo sensuale è già troppo.

Il minimo input risulta scandaloso, immane. Sono nel mondo medio, semifermo.

Quindi davvero finito. Sono sotto l’universo campana.

Alzarmi e cercare nel frigorifero basso una bottiglia.

Fredda nel restare tonda sotto la mano.

Adesso so che accadrà, è rapido turbamento.

Un veloce girare il tappo, la presa al bicchiere lungo.

Nel vetro trasparente, osceno, un liquido giallo denso.

Un odore dolciastro, acre, invitante, mistico.

Quella cosa ficcata nelle labbra, discontinuamente collose.

Un groviglio fluido frenato ed un risucchio sottile.

Il gusto morbido del filtro, e un movimento vascolare.

Milioni di cellule festanti.

Io che mi trasformo.

A tradire.

Un posto fermo, disabitato. Rapporti con gli oggetti univoci. Tutto pulito, al suo posto, fissato.

Mettere ogni cosa dove va. Forme sicure, squadrate, finite. Il tempo bloccato è dentro quello spazio chiuso.

Mai un solo pezzetto di cenere sul tavolo. Un posto fermo, disabitato. Rapporti con gli oggetti sicuri.

Nessun altro. Movimento lineare uniforme verso il passato. Fotografie (immagini fissate).

Contatto con cose lisce, ordine, ordine. Emerge la dentellatura incollata del pezzo del vecchio quaderno. E così la posso controllare, vedi che non mi disturba.

C’è solo lei, vagamente frattale, a dare apparente confusione. Ma sono nel posto fermo, disabitato.

Sono nel mondo che non si muove.

Rallentata, ho pudore ad inserirmi in quel silenzio. Non voglio fare rumore. La punta dell’extra-fine ne fa già uno suo, esorbitante.

 La carta che dà quello sfregolìo sensuale è già troppo.Il minimo input risulta scandaloso, immane. Sono nel mondo medio, semifermo.

Quindi davvero finito. Sono sotto l’universo campana.

Uscire e chiedere al ragazzo di fronte di entrare, qui.

 

"La  morte voluttuosa ha il fascino

dei mille avvitamenti diurni

insincera prepara il lamento

per funambolici mattini muti".