Lavorassi tanto all’autonomia di qualcuno per trovartelo poi contro, esterrefatto.
Ordinassi tutte le cose, gli accendini, e ti accorgessi che è dimenticandoli che li usi per vero.
Insistessi sull’acquisto degli ultimi servo-meccanismi come un surrogato di crescita.
Insistessi sulla bellezza maggiore delle isole vergini e la vita non agra mentre dormi da solo tossendo.
Crescessi senza surrogato di crescita, qualunque oggetto chiuso in un armadio.
Costruissi armadi per contenere blocchi di vestiti fermi, irrecuperabili, per concetto.
Avendo potuto voleva conquistarsi questo amore, il vestito incandescente a precisarne un nucleo, si doveva decidere come affiancarlo alla vita stata ed essendo vissuti non traspariva bene e apparendo perduta cercavamo cosa potesse crescerla, per darle il latte giusto per darle il giusto per prenderla.
Andreste dopo a cercarla con le lacrime grosse degli eventi infernali e degli eventi bugiardi, con queste andreste a chiedere conto, foste stati lì, in quella precisa fogna? In quella porca fogna, e dove per i secoli l’abbiamo cercata, saresti adesso stesso pronto ad indicarla, noi però non l’indicammo mai, quella?

La durezza pietrosa del cuore.
Ma no, un albatross crocifisso.

La fitta sicura è la meno certa. L’anima non ha ali messe in luoghi adatti. Il coltello affonda bene i punti inutili. Dio cammina nei camini spenti, spazza il cielo al limite un bimbetto idiota. La madre non entra nell’allattata e nei suoi suoni ferrosi sue foreste nucleari.
E che nessuna parola descriva niente, che la lingua, pura paura concava, diventata te sia sparizione perfetta.