Per diciassette volte prende il volo.
Sembra non possa fare altro che estendersi. Ma non rimane un solo
iato tra quello e il grande salto vano tanto che si è costretti e chiedersi:
perché perdi?
E’ innumerata e gracile, invece, la stretta successiva; quella che nessun prenome ostenta e che si accompagna di iniziali adatte e di racconti stretti, precisi: dove andavate?
Io so, lo so, che la bella arida ed il suo capiglio non andavano. Si sporgevano. Si mostravano.
Si possono toccare, non esistono. Hanno una loro circonferenza propria, fotografabile
e hanno colori sfumature nuance texture, perfino un campanellino adattabile all’indice sinistro ma non ci sono. Non ci sono! ti è chiaro?  Crescono dentro una bolla che li separa per sempre
da te. Da tutti i tuoi qualunque te, dalla possibilità di divenire oggetto, dal tempo, dal movimento
e se li vedi è perché sporgono, da, una, cavità, aliena.

Per come si precisava aveva carattere di disperazione pervasiva. E quindi non si precisava, ma, vedete, si manifestava cercando. Cercava, quindi potremmo dire che da qualche parte uno spazietto esisteva, a garantire un filo di seguito, di evoluzione costitutiva, a quella brutta storia.
Ci si soffoca e si piange, non si vede più nulla. Ha qualcosa di un pre-marasma, il confino quantitativo dell’esplosione delle ghiandole, dei muscoli, dell’urlo nella pancia, dello serrarsi della gola, dello straripamento, della perdita di ogni tutto il calore che c’è; dentro a fuori, poi dentro niente, poi niente.
La perdita di ogni speranza deve assomigliare a questa cosa, e si sta parlando di un solo modulo esistentivo ma la perdita di speranza definitiva, che potremo ritrovare sicuramente altrove.
Che; qui pare essere la sporcatura dell’invincibile desiderio di ricongiungimento ad una parte sentita come ancora-sé. Questo spiegherebbe i sintomi della perdita di calore e del profondo vuoto oscillante poi fisso, anche se la perdita definitiva di un oggetto primario  potrebbe benissimo dare lo stesso risultato.
Quindi piangeremo ancora.