Ah! Era rosso e sghignazzava, era verde e blu, fumava, era tamarro, la barba di quattro giorni, faceva l’occhiolino, balbettava, sembrava dovere scuse ma non parlava, ammiccava, su e giù coi piedi, sorrideva, sembrava gentile, sembrava docile, attenuava, faceva finta di niente, faceva niente, nien te, nella  sua  maglietta sic rossa sob veniva, si portava, con un vago gesto di pace, con un’aria smarrita da curato, con un indefinibile assaggio di tenerezza, con un’ossatura solida, con un tatuaggio sbagliato

auto da fè, pentimento e denuncia, scazziamo ancora sulle parole, la loro "etimologia", vediamo cosa vogliano dire, a te, a me, al can, ham!  mio rubicondo e mio lascivo lacrima, dove arrivavi a prenderti la mela àmela, o le fai pagare la tua rabbia, che sei salito sulla scala? perché sei alto uno e trentatre? e non si sentano chiamati in causa i nani.

Oh. Poi cambiava lo scenario e non si trattava di chiedere ma di prendere, farsi prendere e prendere un tutt’ino, chiedere non si può, puah, chiedere è sporco, il bisogno è sporco, il bisogno è merda, e quindi bisogna essere indipendenti, la bandiera stellastriscia attornierà il torace, noi sapremo comperarci le brioches, noi sapremo fare a meno dello sguardo dell’altro su noi miseri e ci pianteremo nell’acquisto di quel che può servirci.

Vediamo: un rasoio, bic, più di uno, confezione risparmio; un pacchetto di mutande, 3,4, e la schiuma. Il caricabatterie del telefonino e due pacchi di kleenex, intanto. La play station, qualche extra thief, pizza al taglio, 24 moretti. Un paio di calzoni corti. Come tornar bambino. Riparare la caldaia, come farsi caldino. Pettine?

Il mio avvocato è proprio un asino.