Cinquine d’opinione, selette nel cinguettio. Sbreghi che dicano dove sei come. Io so perché ti rintraccio nel suono che espone, nella scritta sberlata. L’antipatia degli aforismi, per quanto…
Faceva la Gestante selezioni d’iscrizione alla sua vita, definitorie. Era il 1994, anno delle ultime interviste a Popper Karl.

Mario: amava vomitare subito.
Giovanni: ora momenti di noia.
Ivo: dire tutto (subito).
Chiara: ancora chiusa nell’armadio.
Charles: attorno ad una lampada.
Roch: poca paura di morire.
Olga: distese sulla moquette con poca luce.
Hoa: un forte odore di collant.
Paola: una bocca calma e razionale.
Corrado: la sciarpa nera.
Monica: la bellezza al dolore.
Katia: il "migliore dei mondi".
Giangi: il migliore degli uomini.
Ester: l’esperta.
Dario: amava molto di quello che amo io.
Tiziano: niente baci dal treno.
Aline: massiccia straniera.
Paul: lo streap nei locali per l’eroina.
Daniel: l’ammaliatore-stregone.
Michel: pop corn, frites e videocassette.
Sara: sottomessa testarda.
Elisabeth: quei capi particolari che amava mettere l’estate.
Aline: minutissimi french-kisses.
Yannik: nero come l’anarchia.
André: "je t’aime, mon bebè".
Tiphayne: le rosse sudano molto.
Sylvie: la reazione all’ateismo.
Marc: Dio?
Yvan: l’altalena nel giardino chiuso.
Beatrice: un seno sotto il kimono.
Rosa: le piace lavorare perché il tutto funzioni.
Matteo: un basso alla melassa.
Piero: rigidamente nel giusto.
Marco: non gli piacciono i funghi.
Marina: amore malattia.
Claudia: il piccolo ammiraglio scuro.
Massimo: vuole una morbidadonna da avvolgere.
Stefano: razional zen.
Bianca: andava ad imparare la cucina da una suora.
Francesca: irreprensibile, torbido, superbo amore.
Orazio: un meticoloso freddo vi ascolta.
Stefano: nelle nuvole, sugli specchi, ma per terra.
Roberta: opportunisticamente sua madre.
Lucia: ama i cagnetti che la portano per Sandrà.
Paolo: no future for the future.
Stella: troppo l’amore per il cielo, o poco per la terra?
Luisa: i profumi amari ed i frutti secchi.
Stefano: tanti amici, poco importa chi.
Paolo: madonna eroina e la sua poliedrica scorta.
Paola: le vie del signore portano solo lì.
Elisa: dirompente malinconia che squilla.
Sonia: il progetto di una donna.
Sabrina: il gran seno di una paperottola fragrante.
Barbara: somatizzazione longilinea.
Silvana: grandi passeggiate in boschi con folletti.
Andrea: folletto adulto tagliaboschi.
Gianpietro: romantico e parolacce.
Mario: la porta sempre aperta.
Davide: la porta sempre chiusa.
Rim: la gatta autonoma.
Marina: una forza reattiva.
Lorraine: la più convincente risata d’America.
Niki: colorato bozzolo biondo.
Chicco: dove finiscono le sue dita inizia una chit…
Mario: un cane sciolto? o un lupo?
Sylvain: cosa c’era dietro tutto quel silenzio.
Xavier: tocca tutto. E’ lì per te.
J.Francois: pittore, i frigoriferi portano sfiga.
Bixio: storie di riconoscenza.
Paola: lo yogurt solo nei vasetti di vetro.
Maurizio: le sue cose vanno al posto giusto. Lasciate.
Gaia: pim! pum! pam!
Pale: la gatta affettuosa e bianca e verde.
Dina: sorellastra intercontinentale.
Claude-Aline: la sua emicrania, ed il parlar piano.
Alessandra: la sua retina, ed il parlar piano.
Maddalena: da sola con la schizofrenia.
Silvana: fragilissimo acciaio bagnato nell’oro.
Renata: la voce della paranoia.
Luigi: l’immensità gialla di un buio cortile.
Paolo: il mio culo.
Francesco: bellissimo capacazz’.
Paola: i suoi vestiti.
Luciana: ora sarà latte, ma prima era fluido do coscienza.
Domenico: capolavoro d’intelligente adattabilità.
Cesare: il sadico mondo di microsoftword.
Laika: il neronero cane canguro.
Lucia: un brivido per ogni bigliettino.
Diana: corse in tondo nel garage, peste!
Nina: un lento lasciarsi consumare, vinta la vita.
Silvio: minuscolo tirasubrodo, brillante lavoraferro.
Gin: diffido delle tue idee chiare.
Nella: ingarbugliata donnina di cuori.
Marco: forse non ti ha fatto bene battere la testa.
Anna: muticina e bella quanto mai.
Stefano: dai cavalli all’insolvenza.
Roberto: una precisa articolazione di bisogni.
Bepino: l’orso buono.
Vito: scherzi dell’immaginazione.
Pia: pulcino? chioccia? klee?


                                                             

Perché quel mercato di Trichy non ti piacque.

 

 

Si ha dell’India un’idea unitaria. Lungo gangi folle chiaronude bagnano, cremano, mandano barchette fiorite d’arancio agli dei. Nelle città vacche magre bloccano il traffico e tutti si muovono comunque, piano, per evitarle. Matrimoni complicati dove sposi divinati fanno innumerevoli giri attorno ad un altare semplice, senza dio specifico , e la folla li applaude grata dello sforzo in denaro, se non altro. Lunghe fogne all’aperto vicino a villaggi perfetti, sabbiosi, scopati, e la casa-capanna con un rangolo fatto col gesso fino, ogni mattina, davanti alla porta.
Ti scappelli davanti ad ogni ganesha unto e fiorito trovato nei buchi delle mura attorno alla pensione e le scimmie del tempio alto di Brahama le capisci e le coccoli anche se non fanno che tirarti sassi. E la vita dei ricottari, notte e giorno sul mezzo pagato caro, e le famiglie intere pulitissime che a Madras dormono sulle strade e si alzano con l’alba senza fare una piega di sari e la frotta di mendicanti nobilitati che ti scorre addosso e gli autobus strapieni senza nessuno che si tocca.
Nelle piscine dei bramini ti sei seduto sui gradini a fotografare l’acqua stagna ed i colori più brillanti, quei fucsia, quegli oro, quei celesti, gialli cromo, quei bianchi e lunghe barbe su corpi magri, loro, color sole bruciato. Sotto chioschetti intarsiati qualcuno pregava nella posizione del loto. Ti hanno venduto vasetti pieni di polverine rosse e ti sei fatto segnare sulla fronte davanti a collane di fiori arancio, bastoncini d’incenso accesi su piatti di metallo.
Tutto come sapevi.
E la gentilezza di quei baffuti bruni nel porgerti il tè al latte, bollente, facendolo cadere da cinquanta centimetri più volte per raffreddarlo e mangiare il thali in fila come in mensa aziendale, rigorosamente con la mano destra.
Tutto come detto.
Il sarto che ti regala il rocchetto, nessuno che ti ruba lo zaino depositato nell’albergo delle piante giganti, la sfrontatezza dei bambini nelle stazioni accanto alle fabbricatrici di ghirlande di fiori, gli ingegneri della Tata nel giardino di Cochin. Lenti sguardi alle distese di sabbia e cespugli e pietre rovesciate a Mammallapuram del tempio del mare, Vishnu è li che ti guarda, sovrano, in una qualsiasi delle sue reincarnazioni e scolpiscono il marmo a sostituire parti disfatte.
E perché quel mercato di Trichy non ti piacque?
Non era buio, ricordo, il pomeriggio insolentemente cominciava, dopo le ore calde, molto prima del tramonto e si andava per le vie della città affollata candidi di turismo ed allegri delle birre che sapevamo dove comprare. Lungo le strade c’era quel primo odore di notte-prima mattina del viaggio dall’aeroporto fino a Madras ma in più l’indolenza crepitante del mercificare pomeridiano. Siamo arrivati a quel quadrato recintato con un’ entrata ed un’uscita, coperto da tendoni, il mercato vivace di sogni ed esperienze. Hai visto un pollo morto, certo. Ma non capivo. Ero nel posto degli uomini, quelli che lì vivono. Il mercato era un mercato di carne. C’era poca gente, c’era un vuoto. Ma i soliti banchi anche sporchi, penso io, la solita semplice proposta dei mercati, il solito interessato studiarti mentre passi, cosa cambia se davanti vedi limoni e pomodori?
Ma tu dici che la gente ci guardava malignamente, che stavano chiudendo, che qualcuno mi ha lanciato un topo morto tra le gambe. Io vedevo i soliti. Sorrisi e no apparecchiati per lo scambio. Poche rupie logore che scorrono tra mani. Labirinto d ‘intrighi e vita che scorre. Un entusiasmo magico indifferente a me.
Ma perché quel mercato a Trichy non ti piacque, solo Shiva lo sa.