Inizia con un salto nel vuoto.

La giovane signora Paulton non sa dire chi fosse quell’uomo ordinario che le si era parato davanti all’improvviso. Una lenta ricostruzione americana ci fa scivolare progressivamente in mondi semibui come una piccola stazione ferroviaria nel bar della quale si apparecchia e si sparecchia prima e dopo l’arrivo del solo treno destinato dalla grande città.

E’ nell’ultimo negozio in fondo, sotto al grande magazzino, sciatto, ingrigito, inutile (vendono giochetti o pipe? giocano a scacchi?) che si avranno le informazioni più interessanti sulla possibile identità del tale del salto nel vuoto e sul suo legame con le cose.

Lentamente, non troppo, ci verrà fornita la descrizione accurata di un campo militare. Da lì partono e lì arrivano ufficiali delle forze armate come quello con il quale Peggy Peggy ha bevuto quel drink, ricordate…quello della spilla. Una storia di sgualdrine. La gamba mostrata, la gonna aggiustata stretta. Il rossetto pesante ed i ricci biondi sistemati ad arte, una sigaretta, l’ennesima, sul bordo carnoso.

E la storia di due amori infantili.

Che di lui, adottato, si fosse voluto fare l’uomo importante, studiato, mille sacrifici per poi vederselo portare via dalla prima figa (strafottente, sfacciata) che passava per quel posto arido, ecco questo passi. Ma l’amore disastrato di lei, quello scrigno vuoto riempito di tutto, piccoli oggetti da accumulare per poi portarli via, vi chiedo di piangere per lei, signori.

E’ la storia di un mondo provvisorio, feste notturne e bevute pese, gradi che rubano, trasferimenti. C’è un morbido indugiare su dettagli banali, accendini, valigette, occhi sviati, gridolini maliziosi al marito. I nick sono multipli e nei giorni che passano hanno persistenza tasselli non visibili ad occhio nudo.

Dentro gli intrecci formano due tessuti. Poi uno.

Il tempo di fuori ha un furore statico.

La fine è nota.