Si mi ricordo, quella neve per sempre, le anticamere come camere bagnate

e mi ricordo, luce alle merende e Angela con il sole che sfila dalle scale.

Era un tempo minore, così pensavo io, ma mi passava con delizie di balconi

stretti in isole serre, varchi bastoni e canne, quelle torrette, piante tropicali!

Qua, al Québec! Tutte le meraviglie delle tue spezie, o una tapioca,

uno zenzero qua!, nel grande freddo sottopolare! Qua! Il caldo del legno,

qua, l’acqua corriva a maglie rotte, in pace amore e sale…

Che mi ricordo, stanavano la storia come coi cani nelle Grandi Sale

e si trattava di andare alla memoria delle cose mai dette, mai pensate

come fosse possibile ricordare altro, come ci fosse qualcosa da trovare.

Come ci fosse qualcosa da trovare!

L’incantante esperimento, lo svolgersi del filato sui cuscini, un

ricamo ardito, un coso buffo, un lento

sgelare le piantine, danzarle, un corpo

eterno danza per me, suona il violino…

Il comitato dei marxisti-leninisti fuori dalla metropolitana

e diecimila numeri di strada fino alla vecchia casa dei pompieri.

Tutto quel nuovo, ruspa trita centr’anima

(vicino al tuo vecchio cuore mai stato)

s’inventava

kebab motore. Epicerie.  E quella neve per sempre

pare che scongelava, niente

paura, dal fango entrava maggio e si era detto tutto

e ci bastava. A percorrere le malattie di mezzanotte

facendo finta fosse un problema d’igiene, d’igiene!

e ruoli nuovi, divorzi gentili, porte dipinte,

teatri nei casini e cinema nei cessi, velodromi

e giardini, idee pensili, le mille lingue fuse, le mille lingue fuse

in che?

Ma ti ricordi che bastava.

Tutto a produrre un quasitondo. Filandava

dritto quel movimento a mondivivo

la domanda rimaneva senza la risposta

l’ingenuità si spandeva si spostava

che a riassorbirla intera era il respiro.